EP # 0

di Claudio Consoli

EP #0

(dove Ep, invece che Extended Play, sta per Eventuale Playlist…)

(dove per #0 si intenda prima release, antipasto di altre storie da raccontare…)

 

 

 

1.      “America”. 1968, album “Bookends” di Simon & Garfunkel, dove un viaggio on the road inizia senza giubbotti di pelle o rombo di Harley Davidson, ma con la dolcezza e l’innocenza di una giovane coppia in viaggio per gli states fra bus Greyhound, autostop e confessioni sotto cieli notturni, illuminati dalla luna.

2.      “Roundabout”. 1971, album “Fragile” degli Yes, dove un altro tipo di “viaggio” ci porta fuori e dentro paesaggi, stati d’animo, melodie rarefatte e trascinanti cavalcate progressive.

3.      “I Talk To The Wind”. 1969, album “In The Court Of The Crimson King” dei King Crimson, dove il viaggio che ancora conservava connotazioni reali e terrene, si fa solo interiore, spirituale, così etereo e lieve da librarsi in aria e rischiare di perdersi nel vento.

4.      “Lady d’Arbanville”. 1970, album “Mona Bone Jakon” di Cat Stevens, dove il viaggio prosegue sfiorando un corpo troppo freddo, una pelle  diventata candida e labbra che sanno d’inverno…il viaggio è finito? Ha valicato l’ultimo confine? Oppure è solo l’animo di un uomo a pensare di essere morto col naufragio di un amore?

5.      “Solsbury Hill”. 1977, album “Peter Gabriel” (detto anche “1” o “Car”) di Peter Gabriel, dove sulle ali del vento una voce saggia ci sussurra che il viaggio è magari finito ma noi siamo ancora vivi, il nostro cuore che fa “…boom boom boom…” ci dice che ci siamo solo smarriti e che, magari, basta scalare una collina vicina e conosciuta, per guardare la città (il nostro passato?) che sembrava opprimerci e volerci ridurre ad ingranaggio, da un’altra prospettiva; poi magari alzare gli occhi e portare il riflesso delle sue luci nel cielo notturno, a confondersi con le stelle e finalmente darci pace e convincerci di essere tornati a casa nonostante “My friends would think I was a nut”. 

 

 Alcune curiosità sulla playlist:

 

Ero partito per comporre una lista di soli artisti inglesi, ma il pezzo di Simon & Garfunkel, che invece sono americani, continuava a sembrarmi contiguo a livello di trama musicale con gli altri pezzi ed utile contrappunto, con la sua quasi spensierata leggerezza, alle tematiche più profonde del resto della playlist.

 

“Lady d’Arbanville” fu scritta e dedicata da Cat Stevens all’attrice Patti D’arbanville, che è viva e vegeta e con la quale colui che oggi è Yusuf Islam, ebbe un’intensa relazione fra il 1968 e il ’70; oltre che del cantautore inglese cui ispirò anche la famosissima “Wild World”, fu musa di Andy Warhol per il quale, a soli 13 anni, partecipò al suo primo film. Sembra quasi una specialista nel regalare amarezze ai suoi uomini, visto che anche nel meraviglioso “Un Mercoledì da leoni” (Big Wednesday) di John Milius, al ritorno di Jack, uno dei protagonisti, dal Vietnam, la D’Arbanville che  interpretava Sally, fidanzata con Jack fino al suo arruolamento, è ormai sposata con un altro uomo quando il reduce torna e bussa alla sua porta.

“Salsbury Hill” fu il primo singolo solista di Peter Gabriel, successivo al suo abbandono degli Genesis ed è un pezzo nel quale il musicista ci parla delle sue emozioni e dei cambiamenti che visse anche a causa di quella separazione.

Peter Gabiel, allora ancora praticamente sconosciuto, suonò il flauto nel brano Katmandu sempre dall’album “Mona Bone Jakon”.

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