Era estate

di Francesco Giovannelli

 

(© tutti i diritti riservati)

 

 

(foto da www.vitadamamma.com)Era estate. Un’estate da bambini, dove il mare si riposa per scherzo sulle rive del ricordo e la sabbia serve solo come teatro a un mondo protetto, eppure senza confini. C’era il sole, alto, al centro obbligato della propria stagione, e le voci che si mescolavano tra acuti anarchici e gravi perentori. Una fotografia in movimento nel circo riallestito della vita, in un’altra esposizione regalata al consumarsi di un tempo spettatore, muto ed imparziale. I giochi si infrangevano sui primi spicchi di pensiero, e i sorrisi iniziavano ad avere più di un gusto, a rimandare a più di un luogo.

 

Il groviglio delle singole esistenze si divideva in mille rivoli, riattorcigliati poi in gruppi più ristretti, dai legami ora più tesi, ora più lenti. E nella foschia di questo sogno lontano, sulla spiaggia, tra le tante si distingue una bambina, un po’ altezzosa e decisa, intenta a spostare il centro del mondo al cospetto dei propri desideri. Il vento caldo le portava le fantasie con cui carpire il senso delle cose, e alimentava la continua scoperta di uno spazio vivo e sempre diverso, quasi come le parole per descriverlo. Il passo leggero e il presente lì, a diluire nei giochi un futuro un po’ troppo denso per potersi preparare.

 

Sotto la nuvola insabbiata di quei passi, impercettibili perfino a se stessi iniziavano a correre impazziti anche i primi incomprensibili desideri, e il bruciore del sale sulla pelle scopriva presto un ruolo aspro da testimone inatteso. La bambina aveva scelto il proprio trono come si sceglie un fiore colorato, e gli occhi forse le si erano già accesi al suo primo castello di sabbia. Gli scoppi delle risa la richiamavano a una realtà tanto fluida da perderne i contorni, mentre in fondo allo specchio delle onde si rifletteva in un’immagine già attesa da sguardi curiosi e inconsapevoli.

 

Era estate, e tutto si perdeva nella memoria dei bambini.

 

Un passo più indietro, a ridosso dei propri pensieri elementari, a sei anni lui studiava come un modo per raccontarsi, agitando forte il proprio fragile entusiasmo. La luce gli scheggiava gli occhi pieni, regalandogli l’ebbrezza di una visione arroventata come una spinta improvvisa, come una vertigine di conquista. Oltre il punto più alto dello stupore, le stelle cadenti di tutte le domande più nascoste. Il cuore pieno di suoni come le mani di sabbia, e la voglia di scavalcare in un gioco il muro sgretolato dei silenzi e del rifiuto.

 

E l’incontro tra i due è spezzettato da frammenti di futuro, il non capire plasma tutti i movimenti, fino a riempire il cuore di silenzio. Col tonfo di una pietra abbandonata in acqua, infine, un dolore infantile spiega le ali sopra un cielo all’improvviso troppo stretto.

 

 

Le nuvole ondeggiavano sulla via del ritorno, dai sogni come dal dolore, eppure cullavano in silenzio ancora un seme di sollievo, per tutto ciò che sembra perso e invece sta nascendo. La bambina ravviava i capelli ed il tramonto con un gesto di speranza un po’ alla cieca, appesa all’immagine di un sentimento sconosciuto ma già tutto da scoprire. Il bambino componeva il primo spartito al suo languore, ma lo dimenticava poi dentro un calcio ad una palla. Le voci gravi si quietavano come i pensieri dopo il mare, e un sonno bianco accarezzava le testoline incuriosite dalla luna.

 

Era estate, e tutto è ancora vivo sotto la pelle degli adulti.

 

 

 

 

Per informazioni circa l’autore è possibile scrivere a francesco.bordi@culturalismi.com

 

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