I PASSI DI GIULIA

 

di Paolo Marcacci

(immagine da http://www.centrobenesseredellamore.com/2011/11/lettura-dei-tarocchi-secondo-i-principi.html )Giulia si controlla un’ultima volta nello specchio, prima di andar via. In realtà si è dimenticata di essere bella; non bastano a ricordarglielo gli sguardi compiaciuti dei colleghi, l’ammirazione velata d’invidia (o l’invidia velata di ammirazione?) delle colleghe, la loro curiosità mai soddisfatta: nel suo voler sempre apparire perfetta non c’è alcuna civetteria e nessuna concessione a una femminilità che agli altri appare evidente. È solo che deve tenere sempre tutto sotto controllo: se l’è imposto da quella volta e da allora è la cosa che le riesce meglio di tutte le altre.

Quando esce dall’istituto di credito dove lavora, lì a metà di Via Della Conciliazione, sembra uno spot della realizzazione di sé. Bella, indipendente, sempre elegante e mai con un accessorio fuori posto: cappotti di taglio fine avvitati; se piove piumini sottili e di ottima qualità; stivaletti di camoscio di vari colori, per I quali va matta; se piove stivali in pelle, lucida oppure opaca; in primavera giacche di pelle leggere, con la cintura da stringere in vita e il bavero da rialzare, sciarpette di cotone con motivi floreali ma discreti, mai sgargianti. Le colleghe non fanno che chiedersi chi sarà a regalarle tutta quelle cose, compresa la borsa LV che non usa poi tanto perché la trova meno comoda di altre e il Cartier con la cassa in oro rosa che va bene su tutte le camicette. Nessuna oserà mai chiederglielo, Giulia è sempre sorridente al lavoro ma il sorriso è sempre lo stesso, solo le piacerebbe non ricordare il momento in cui ha imparato a gestirlo.

Esce sempre a piedi dal lavoro, con qualsiasi clima: le piace incamminarsi verso Piazza San Pietro, sentire il marmo liscio sotto le suole griffate mentre il traffico scorre sui sanpietrini con un rumore che fa pensare a tante biciclette che abbiano forato tutte assieme.

Il fatto è che la piazza è sempre uguale a se stessa, quando l’attraversa a quell’ora del pomeriggio. I venditori di souvenirs hanno sempre pochi clienti e si dicono qualcosa ad alta voce, oppure le lanciano un complimento maldestro a cui risponde con il sorriso che gli anni hanno collaudato.

E’ come se tutto fosse ancora possibile, se il tempo lì fosse fermo e non esigesse I suoi bilanci, la certificazione dei fallimenti o delle rinunce alle quali è meglio prepararsi.

La basilica e il Colonnato, a volte più opaco, altre rischiarato dai restauri, sembrano un gigantesco vigile urbano, che sta lì con tutti I suoi secoli a smistare la direzione della gente: a sinistra quelli che vanno verso Porta Cavalleggeri, a destra quelli destinati a Prati o Castel Sant’Angelo. Pure l’acqua nelle fontane sembra essere quella di quando con le compagne di liceo se ne venivano a bighellonare quando c’era sciopero o, nei pomeriggi poco prima di Natale, a vedere se per caso avessero già aperto il Presepe. Lei “sega” non la faceva mai, apparteneva alla categoria di quelli che se un giorno non volevano andare a scuola lo dicevano chiaro e tondo.

Ecco: a pensarci bene aveva sempre detto tutto chiaro e tondo, senza mai tenersi nulla. Era stato forse quello il problema? Col tempo, si sarebbe allenata a non chiederselo più, avrebbe dominato anche quella riflessione.

Poi Giulia arriva all’inizio di Via Gregorio VII, davanti alla chiesa dove la mattina presto riesce sempre a parcheggiare la sua Golf tirata a lucido. L’orologio digitale torna a scandire tutto quello che si perde per strada, salendo ogni sera verso Piazza Pio XI, poi a sinistra verso l’Olimpica e infine a Monteverde, dove Giulia abita accanto ai suoi, che le telefonano sempre prima di andarle a bussare.

Lo specchietto rimanda qualche ruga d’espressione attorno agli occhi verde scuro, che si fanno più chiari quando è al mare con la madre e con la zia. Lungo la strada, le capita ancora di vedere ogni tanto una Punto celeste, come quella che aveva Giorgio, anche il giorno in cui le disse che non se la sentiva di sposarsi, che doveva fare ordine dentro se stesso, dopo sei anni di una storia che tutti invidiavano. Anzi glielo disse prima di scendere per quella passeggiata che lei voleva fare a Fregene, un sabato pomeriggio d’ottobre che pareva ancora estate.

Col tempo, sempre meno macchine di quel modello e di quel colore si noteranno in giro; Giulia con passo più leggero uscirà dall’ufficio o se ne andrà per negozi regalandosi I gioielli e le borse che la fanno sentire in ordine.

Con I suoi abbinamenti di colori per fare ordine nella solitudine, con Il sorriso sempre uguale con cui ha iniziato a difendersi il giorno in cui ha smesso di fidarsi.

 

 

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