Sento che sta per succedermi qualcosa

di Roberto Ceci

(© tutti i diritti riservati)

 

(da www.cronacamilano.it)La pioggia rigava il vetro della sua macchina e lui restava lì immobile a fissarla. Pioveva da ormai due giorni e il traffico di Roma ne risentiva pesantemente, per arrivare li ci aveva messo quaranta minuti quando, in un giorno normale, ne avrebbe impiegati solamente dieci. Il flusso di gente in quella dannata banca era solitamente abbondante, ma quella mattina sembrava perfetta, forse il maltempo aveva di fatto frenato alcuni clienti e li aveva fatti rimanere a casa. Sì, era quello il momento. Ne era consapevole ma non trovava il coraggio di muoversi. Non era un professionista, aveva progettato tutto, ma non era un professionista. Era solo. Nessuno sapeva del suo progetto, tanto meno Carla. Non glielo avrebbe mai permesso. Osservava il suo volto riflesso nello specchietto. Sembrava invecchiato di almeno dieci anni. Gli ultimi mesi erano stati tremendi e alla fine, la disperazione o forse solamente una buona dose di follia gli aveva fatto prendere questa decisione. Quella che aveva davanti era una piccola banca, tre, al massimo quattro sportelli e solamente una guardia all’esterno. Un signore imbolsito per giunta. La radio passava un vecchio pezzo dei Genesis, quanto doveva avere? Pensò che quando uscì quell’album doveva aver avuto al massimo vent’anni. Che bella la vita allora, senza un progetto, solamente sogni, sogni e spensieratezza. Poi era arrivato il suo amore… Carla, sua figlia, il suo lavoro e le sue responsabilità. Da allora fu solo il declino, un lento inesorabile ma felice declino. Sì, in fondo era davvero felice, una bella vita, non ricca, ma serena. Gli ultimi mesi gli avevano però insegnato che non si può vivere solamente di quello. Era sul lastrico e non sapeva che fare. A persone della sua età non veniva di certo offerto molto lavoro e lui si era ritrovato presto in un vicolo cieco.

Si fece coraggio, impugnò la gruccia con la mano destra e scese dall’auto. Si diresse verso l’entrata della banca lentamente, zoppicando vistosamente. La guardia non sembrò nemmeno prestargli la minima attenzione. Lui premette il pulsante per aprire la prima porta e attese. Quando fu dentro, in una specie di cilindro a vetri, una voce metallica parlò: “Attenzione! Si prega di tornare indietro e di depositare gli eventuali oggetti metallici nell’apposita cassettiera.” Marco era preparato, si sporse leggermente in avanti, fino a farsi notare dalla prima operatrice, alzò la gruccia per farle capire che non avrebbe potuto depositarla da nessuna parte. La ragazza annuì sorridendo e aprì la porta. In un attimo fu dentro la banca. Tre persone stavano facendo la fila e altre tre erano impegnate nelle loro operazioni bancarie. Marco si fece forza, lasciò cadere la gruccia a terra e tirò fuori dal cappotto una pistola, era una vecchia berretta che non aveva più nemmeno una pallottola, del resto, non avrebbe potuto comprarle, questo però, gli altri non lo sapevano, non appena la vide, la ragazza che poco prima lo aveva fatto entrare lanciò un urlo tremendo. I clienti si voltarono e una di loro nel farlo mostrò quello che aveva in braccio. Un bambino. Marco si fermò come se improvvisamente qualcuno gli avesse staccato la spina come se qualcuno gli avesse finalmente aperto gli occhi su quello che stava facendo. Non riuscì nemmeno a parlare, forse qualcuno aveva già dato l’allarme, forse qualcuno era entrato. Una forte esplosione e poi una fitta al petto. Una lacrima, fredda e implacabile gli scavò una guancia.

 

 

Rientrando in casa aveva trovato Carla che stava stirando. Sembrava nervosa e dopo lo sarebbe stata anche di più.

“Ehi…”

“Tesoro…come stai? Come è andata?”

Marco posò la sua valigetta sul divano e si tolse la giacca. Non sapeva nemmeno cosa dire. Carla, da quando aveva perduto il lavoro aveva fatto qualche lezione di piano ad alcuni bambini e poco altro. Non era più riuscita a trovare un altro lavoro e adesso vivevano di quel poco che portava a casa lui. Fino a quel momento.

“Non mi rinnovano il contratto.”

“Cosa?”

“Non me lo rinnovano.”

“E perché?”

“Perché hanno chiuso la loro filiale di Bologna e devono ricollocare il personale con il contratto a tempo indeterminato, chi non ce l’ha è fuori.”

“Così? Dal giorno alla notte?”

“Già…”

“Ma gli hai dato l’anima…”

“Non basta dargli l’anima…non basta non prendere mai ferie…lavorare senza sosta…non basta nulla…”

Carla si avvicinò e lo strinse a se.

“Come faremo ora?”

“Non ne ho idea…” Rispose lui.

 

Probabilmente la guardia conosceva un’altra entrata, perché in un attimo gli sì fece davanti, Marco aveva già abbassato la pistola ma quello, probabilmente, si spaventò e lasciò partire un colpo. Il petto gli si tinse di rosso in poco tempo. Quando arrivò l’ambulanza ancora respirava. Lo caricarono e il viaggio verso l’ospedale sembrò interminabile. Gli davano fastidio le bianche luci che dal lettino era costretto a vedere, mentre sentiva intorno a lui i paramedici lavorare. Aveva fallito. Aveva fallito di nuovo. Sentiva che sarebbe sopravvissuto, avrebbe portato un altro peso sulla sua coscienza, voleva solo vivere come prima. Voleva serenità, ma non era in grado di averla ne di darla a sua moglie e sua figlia. Probabilmente avrebbe preferito che quel proiettile avesse centrato il cuore. Non era in grado nemmeno di morire.

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