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Di Patrizia Doretti
Firenze può anche essere piuttosto grigia nonché sporca e l’Arno, con il suo greto colmo di fazzoletti usati, può diventare teatro di violenze che lacerano l’anima… proprio come l’anima di Lorenza a metà tra la vita e la morte dopo un’aggressione a cui riesce a sopravvivere grazie ad un’insospettata forza di volontà.
L’ispettore Somigli si muove bene in questa Firenze di periferia. Il suo lavoro è disordinato quanto la sua vita privata, tuttavia il primo sembrerebbe funzionare meglio se non fosse per il fatto che… è una donna. “Principessa”, così viene apostrofata con sarcasmo dai colleghi in questura di cui sospetta l’effettiva stima professionale nei propri confronti ma da cui subisce anche un costante sessismo. In questo ambiente Mara deve fare giustizia sulla mano violenta che si è abbattuta su Lorenza e su molte altre vittime cercando di capire moventi, modalità, psiche e soprattutto se tanta efferatezza derivi da un’unica mente, o meglio da un unico impulso di morte.
C’è del buono anche nella stazioni di polizia: prese in giro, risate, relazioni e scherzi da divisa aiutano ad andare avanti. In questi momenti l’ispettore è più umano… è Mara Somigli: amica del suo sottoposto Connicella, frustrato per dover obbedire agli ordini di un superiore al femminile per di più dal carattere aggressivo ed iracondo, ma poi è anche una “vittima” che deve resistere alle mal celate avances ed agli ingenui sabotaggi lavorativi del sicilianissimo collega Calvaruso di pari grado in polizia, ma non in strategie di vita. Nel bene e nel male sono questi i pochi momenti di Mara, perché dietro l’angolo di una maleodorante stradina fuori dal centro ci sono cadaveri di donne, madri e padri inginocchiati che piangono la morte delle figlie, scientifiche impegnate nel proprio lavoro ed è lì che prende il sopravvento l’ispettore Somigli.
Fare ordine nel suo lavoro significa fare ordine nei propri sentimenti, nelle personali frustrazioni, nelle proprie nevrosi, in un passato che vuole ritornare e nelle speranze di ogni giorno. Tuttavia questa dedizione non è facile: fa soffrire, fa male, provoca un’eco di dolore nel profondo e a volte… è rischiosa.