Un taglio al futuro

di Concetta Di Lunardo

Sebastiano Gulisano, giornalista e fotografo, 52 anni, collabora stabilmente con il quotidiano telematico GliItaliani.it ed il settimanale Ucuntu.org. È stato redattore de I Siciliani e di Avvenimenti, è autore di alcuni libri sulla mafia e di un romanzo di fantapolitica, Porcilandia, pubblicato all’inizio del 2010. Alla fine di novembre è uscito il suo nuovo libro-inchiesta Un taglio al futuro. L’istruzione ai tempi della Gelmini (Editori Riuniti, 312 pagine, 15 euro), ne parliamo con l’autore.

«Continuano a essere convinti che il fine del governo sia ridistribuire il reddito con le tasse, rendendo uguali il figlio del professionista e il figlio dell’operaio». Ruota intorno a questa frase di Silvio Berlusconi, pronunciata durante un dibattito tv nel 2006, Un taglio al futuro – L’istruzione ai tempi della Gelmini, il libro-inchiesta di Sebastiano Gulisano su scuola e università, nelle librerie dalla fine di novembre.

Perché ha deciso di scrivere questo libro, che l’editore, in copertina, presenta come «il primo reportage, spietato e obiettivo, sullo stato disastroso della scuola, dell’università e della ricerca in Italia»?

Le rispondo con Primo Levi: Se non ora, quando? Sono trascorsi due anni e mezzo da quando, nel giugno 2008, il governo Berlusconi ha varato il decreto 112 (una manovra economica correttiva approvata col voto di fiducia) che gettava le basi per la cosiddetta riforma Gelmini, cioè di una serie di regolamenti ministeriali, approntati da gruppi di tecnocrati, che riportano la scuola dell’obbligo agli anni Cinquanta, snaturano le superiori e bastonano università e ricerca: una serie di norme ideologiche e anticostituzionali (rispondono al principio berlusconiano secondo il quale il figlio dell’operaio non deve avere le stesse opportunità di quello del professionista, malgrado la Costituzione dica esattamente l’opposto), nonché autoritarie, poiché varate attraverso regolamenti non soggetti al confronto parlamentare. Allo stesso modo, non ha avuto alcuna voce in capitolo chi, nelle scuole e nelle università, lavora o studia. Nelle elementari e nelle medie la controriforma è entrata in vigore un anno fa, nelle superiori quest’anno, mentre per l’università era in dirittura d’arrivo il disegno di legge che ha riportato in piazza studenti, insegnanti e ricercatori. Scrivendo ora il libro, potevo dunque fare un primo bilancio delle ricadute reali delle nuove norme sulla scuola pubblica e stare anche dentro l’attualità, raccontando anche la prima occupazione di una facoltà romana, quella di Ingegneria.

Perché un giornalista che si è sempre occupato di mafie decide di scrivere di istruzione?

Perché la scuola può essere un formidabile strumento contro le mafie, può creare cittadini consapevoli di diritti e doveri, e dotati di coscienza critica. Ma può anche non fare nulla di tutto ciò, come ha scelto di fare la maggioranza di centrodestra: hanno deciso di acuire la forbice tra Nord e Sud del Paese, diminuendo le opportunità per chi è più svantaggiato (i disabili, ad esempio, e il Meridione in generale), favorendo la dispersione scolastica e il potenziale continuo ricambio di manodopera per le mafie. Nel primo capitolo racconto, anzi la racconta lo stesso dirigente scolastico (ché, a differenza della Gelmini, ho ascoltato e dato voce a studenti, insegnati, lavoratori precari e sindacalisti), le ricadute sul Circolo didattico Nazario Sauro di Palermo, quartiere Brancaccio, lo stesso dove nel 1993 è stato ammazzato padre Pino Puglisi, ucciso perché toglieva i ragazzini dalle strade, cioè dalle grinfie delle cosche: «Oggi – dice il dirigente, commentando gli effetti della “riforma” – mi sento come uno che sta mandando a fondo i bambini con maggiori difficoltà, uno che produce cadaveri pedagogici». Ecco: la nuova scuola crea esclusione, ridà manodopera ai clan e colpevolizza gli insegnanti.

Le cronache sono piene di studenti che paralizzano le città, occupano scuole e università. Ha un senso tutto ciò?

Gli studenti usano gli strumenti a loro disposizione per farsi sentire, per gridare il loro “NO”, per essere ascoltati e potere dire la loro sull’istruzione che vorrebbero. Ho parlato con molti di loro e tutti, nessuno escluso, vivono le modifiche legislative in atto come la frapposizione di un muro di gomma tra loro e il futuro, futuro che riescono a immaginare solo all’estero. «Emigrazione» è la parola più ricorrente nelle centinaia di colloqui avuti. La Gelmini dice che sono strumentalizzati dai baroni, ma non dice che due anni fa ha stabilito che le commissioni di concorso debbano essere formate solo da docenti ordinari, cioè da quegli stessi baroni che nella sua propaganda sostiene di combattere. La verità è che la Gelmini non conta un bel niente, come dimostra un emendamento votato alla Camera nei giorni scorsi che, di fatto, la rende subalterna al ministro dell’Economia. Viene sancito per legge. Un fatto senza precedenti e di assai dubbia costituzionalità, visto che i ministri avrebbero pari rango.

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