Fumo negli occhi a Torrevecchia

di Paolo Marcacci

( immagine da http://deruinamundi-sav.blogspot.it/2012/02/riforma-elettorale.html )Non era una storia vera e propria, la loro; non poteva definirsi tale: ritagli di tempo, occasioni rubate al matrimonio di lei.

Manuela quella sera gli fece la sorpresa di presentarsi a casa sua prima di cena, senza preavviso, con una di quelle improvvisate che gli causavano una gioia subitanea e di lì a poco lo facevano sentire frustrato, per tutte le attese che gli toccava sopportare, gli appuntamenti mancati, quel sentirsi ladro della vita altrui.

Nessuno dei due aveva mai riflettuto su quanto quella cosa potesse chiamarsi amore; entrambi però si erano chiesti, sperando, se all’altro quella parola fosse mai venuta in mente.

Via di Torrevecchia cominciava a riprendere fiato soltanto allora, dopo aver ansimato di traffico fino a qualche minuto prima.

Fatto sta che quella sera lei, che abitava un po’ più su, dalle parti della Trionfale, era lì, per lui e gli chiese espressamente di cenare a casa, con quello che c’era, con l’aria comprensiva di chi da’ per scontati lo scatolame e i surgelati, monoporzione, che intasano il frigo dei single.

Claudio rifletté sul fatto che da quando si frequentavano (anche se questo modo di dire non rendeva l’idea della provvisorietà in cui si sentiva impigliato), mai aveva avuto l’occasione di cucinare per lei. Cosa che gli piaceva e che, da autodidatta, era piuttosto bravino a fare. Solo che senza preavviso… Gli vennero incontro le sue letture, come spesso accadeva: si ricordò di un romanzo di Carofiglio, uno dei suoi preferiti, in cui l’avvocato Guerrieri si trovava nella stessa situazione: dover improvvisare ai fornelli, sotto lo sguardo indulgente ma scettico di una donna capitatagli a casa senza preavviso, che per di più non voleva cenare fuori.

Nel libro si parlava di una pasta chiamata “Fumo negli occhi”: ingredienti di fortuna messi insieme per caso ma che fanno fare una figura da gourmet. E in frigo c’erano tutti, o quasi (non poteva certo andare a controllare nella pagina di un romanzo, in quel momento) gli ingredienti di quella storia.

Mise a soffriggere aglio e peperoncino con un’acciuga sott’olio e capperi sminuzzati, sfumò con del vino bianco (un Vermentino, in offerta al supermercato). Si ricordò del consiglio di un amico cuoco: sempre una foglia di alloro, in qualsiasi sugo; nel frattempo, aveva calato i sedanini, pasta corta che gli aveva sempre dato l’idea della raffinatezza, va a sapere perché. Aggiunse al soffritto un trito di olive verdi e nere e scolò la pasta, molto al dente, esibendo il secondo consiglio: due-tre minuti di mantecatura col tegame chiuso, affinché si impregnasse di tutti gli aromi. Prima di fare le porzioni, generose, abbondante pecorino grattugiato a scaglie e prezzemolo tritato al momento.

Cenarono di gusto, ridendo e guardandosi in maniera diversa dalle altre volte. Come marito e moglie, venne a Claudio di pensare per un istante dolceamaro.

Sentì più intimità in quella riuscitissima cena tirata fuori al momento che nell’amore fatto alla solita maniera, intensa ma con un che di furtivo.

Lei poi non ha mai lasciato il marito, si sa come vanno queste cose; lui continua a leggere Carofiglio e a dilettarsi ai fornelli.

La pasta “Fumo negli occhi”, però, non l’ha più cucinata.

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