Può una lisca di pesce risultare divertentissima e amara allo stesso tempo? Leggete Roberto Vaio e capirete quanto sia importante e spassoso imparare la lezione che la vita ci presenta… sul piatto

di Francesco Bordi

La lisca è di fatto un elemento che durante il nostro pasto può dar fastidio, a prescindere. Quella di pesce piccolo poi e infingarda perché una sua parte, o più d’una, può finirci in gola dandoci particolarmente fastidio. Quella del pesce grande, invece, si nota subito e quindi difficilmente ci mettiamo a combatterla sulle nostre tavole…

Ma al di là di quello “La lisca del pesce piccolo” di Roberto Vaio possa rappresentare davvero, poniamo l’accento su ciò che determina…

Leggendo questo racconto, pubblicato dall’europeissimo El Doctor Sax, sono scoppiato più volte in risate fragorose, ma davvero.

Tenete presente, cari lettori, che il sottoscritto lavora soprattutto fuori casa e quindi nei casi come quello del titolo in questione, le persone che sono nei dintorni vengono puntualmente distratte dai miei sorrisi dalle espressioni ilari e… dalle risate.

Ma questo è solo un aspetto dell’opera di esordio del signor Vaio, che è un personaggio come e forse più del protagonista a cui è dato vita. Leggere la sua bio per credere.

La risata, dunque è certamente l’effetto più eclatante  ma l’altro elemento principe è costituito dall’amaara costatazione esistenziale, ora svelata ora mascherata, con una chiave finale inaspettata.

Romano Furfaro, il figlio letterario dell’autore torinese, non è un vincente e lo si capisce subito, dalle primissime pagine, tuttavia l’occasione per un suo riscatto personale e pubblico si palesa improvvisamente diventando reale, quasi tangibile: una vacanza sul finire dell’estate con il suo amico ricco e popolare, nonché arrogante e discriminante, Giacobbe Dj. Dove? In un fantomatico campeggio “vip”, immerso nella natura noto per essere teatro di feste, intriso di perenne allegria ma soprattutto famoso come luogo deputato al sesso disinvolto. Ottima occasione per un adolescente di modesta estrazione che passa tutto l’anno a lavorare nei cantieri cercando di tenere a bada la propria tempesta ormonale da ventenne.

I più smaliziati di voi, cari lettori, avranno già compreso che la trappola per il nostro eroe dei vinti è dietro l’angolo, cionostante nel corso della vacanza al “Campeggio Luisa” la svolta sembra a portata di mano, arriva sicuramente attraverso diverse prove di sofferenza psicologica e non  solamente, ma è lì, Romano la vede ed è pronto a coglierla ed assaporarla.

Finalmente il Riscatto?

Non proprio… Il nostro giovane entusiasta resterà comunque vittima. Rimarrà, così, sconfitto dalla quella vacanza, da quella improvvisa aspettativa di ritrovata fiducia nella vita, dal suo amico infame e dai suoi nuovi amici, più o meno tali, conosciuti in loco: caricature di una certa classe sociale nonché di se stessi e per questo degni di una nostra sorridente attenzione antropologica.

La reazione del pubblico, che ne ha seguito le altalenanti emozioni, è quasi un piccolo shock.

Effettivamente da subito non si poteva non tifare per quel giovanissimo protagonista per il quale tutti, ad un certo punto della narrazione, auspicano una sorta di provvida sventura quasi manzoniana. Il fatto che, in una certa misura, questa riscossa venga a mancare con tanto di retrogusto amaro (proprio come quella sensazione della piccola lisca di pesce in bocca che ha più nemmeno un pezzettino di carne sulle ossicine) lascia il pubblico spaesato, ma… non insoddisfatto.

L’ultimissima riga de  La lisca presagisce infatti che la lezione finale, mai così chiara come ora, va sempre tenuta bene a mente, soprattutto da parte delle persone meno abbienti che devono prima di tutto imparare a rispettare se stessi e poi a farsi rispettare dagli altri (arroganti arricchiti inclusi).

Chi ha più strumenti sociali, infatti, come popolarità, potere e denaro è meno esposto e può difendersi meglio rispetto a chi può contare su meno protezioni.

La Lisca non è un racconto comico, non è uno sguardo sulla lotta di classe contemporanea e non è uno scritto che scimmiotta lo stile da strada.

La fatica letteraria di Vaio è schietta perché usa un linguaggio politicamente scorretto dove serve, senza alcun filtro sociale e tipico di una certa età, ma utilizza anche una sorta di delicatezza quando si va a toccare la sfera intima di un di un adolescente troppo presto deluso e umiliato dalla vita.

Non c’è voglia di stupire e non si cerca smodatamente alcun lieto fine. La lisca è un esempio, davvero divertente nella maggior parte del testo, di come nella vita si potrebbe raggiungere qualunque traguardo se solo non si soccombesse al peggiore dei nemici: se stessi.

Anche La lisca del pesce piccolo ha la sua forza e può destare preoccupazioni. Non spaventa in quanto tale, ma a differenza del pesce grande è quella che, proprio per il sue dimensioni ridotte, ci può fregare e farci strozzare.

Impariamo dunque noi tutti qual è la vera importanza che risiede nei pesci piccoli, possibilmente e preferibilmente prima che diventino lisca.

 

“La lisca del pesce piccolo” di Roberto Vaio, Valencia,El Doctor Sax 2022

Foto di copertina e relativa elaborazione grafica di Francesco Bordi © tutti i diritti riservati

 

 

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