Chi è più bastardo? L’impietoso ed accattivante occhio di Jennifer Egan sulle passioni artistiche deformate dal tempo

IMG_20181028_100141_819di Francesco Bordi

Qual è uno degli elementi che ci accumuna tutti, ma allo stesso tempo ci divide? Qual è la categoria assoluta unica a decidere effettivamente cosa siamo in grado di fare e cosa non potremo portare a termine. Sì, è proprio lui, o meglio… Si tratta dell’approccio che ognuno di noi ha nei suoi confronti.

Se infatti da un lato il tempo ci differenzia in base all’età e di conseguenza in base ad azioni  che possiamo e non possiamo portare a compimento, dall’altro lato ci riunisce sotto un’unica grande cupola trasparente in cui tutti viviamo rimpianti ed ansie: quello che poteva essere e non è stato così come quello che potrebbe essere e forse sarà. Jennifer Egan ci ricorda che tutto questo si verifica da sempre per un’unica semplice ragione: “Il tempo è un bastardo”.

Il concetto già di per sé spietato ma accattivante assume tinte particolarmente intense se calato nella realtà della discografia americana fra la fine dei ’70 ed i il periodo odierno. Lo sanno bene Bennie Salazar e Sasha: un produttore del settore e la sua assistente che si muovono all’interno di tredici racconti collegati fra loro in cui l’americanissima autrice ci mostra l’impietoso mondo del glamour artistico statunitense degli ultimi trent’anni. Si evolvono i mezzi di comunicazione, mutano le mode e vanno modificandosi le richieste del pubblico, ma ciò che rimane immutabile è il fragile approccio personale ed intimo dei protagonisti davanti e dietro le quinte del mondo volubile per antonomasia. C’è anche Dolly, brillante ufficio stampa degli artisti che contano all’apice della sua carriera, che si ritrova improvvisamente decaduta in seguito all’organizzazione di un party glam conclusosi decisamente male; la sua risalita non è né semplice né scontata e può anche portare ad esiti peggiori. Kitty Jakson, invece, è l’attrice del momento: tutti la vogliono sul set, il mondo la esige ai microfoni e lei si trova a suo agio, ovviamente, ma un intervistatore molesto la importuna e la spinge alla riflessione,  in momenti adiacenti: non sarà mai più la stessa persona e la stessa attrice e non solo per la molestia subita. Parenti, figli, amici ed ex-amici… il tempo che attraversa tutti i personaggi ed i risultati delle loro relazioni affettive in quel mondo a tratti irreale produce effetti differenti e stuzzicanti o devastanti: ci si diverte con le riflessioni del giornalista annoiato addetto allo star-system, ci si immalinconisce di fronte alla decadenza di donne e uomini un tempo rincorsi  dalle copertine, così come ci si sofferma con amaro sorriso della goffa rinascita dei rockers che furono e che vogliono nuovamente essere.

Dalla fine dei ’70 ad oggi, da San Francisco a New York passando per Napoli, la presenza di artisti, uomini e donne addetti ai lavori  in evoluzione  (e involuzione) all’interno di una narrazione che non procede assolutamente in maniera strettamente cronologica crea un andamento scattoso spazio-temporale che inizialmente può quasi infastidire il lettore, ma successivamente determina invece un particolare ritmo che si impone con personalità pagina dopo pagina.

Scopriamo così un Bennie Salazar piuttosto “sfigato” ai sui inizi che lo vedevano alla disperata ricerca di un contatto in ambito musicale, così come apprendiamo che l’affascinante Sasha, in giovane età, è  stata una ladruncola ed una ragazza dalla esagerata disponibilità nel suo periodo di vita in Italia.

Non sono solo tempi e luoghi a mutare il carattere di queste persone, ma sono quelle passioni di cui sono imbevuti che, cambiando pelle nel corso del tempo, intervengono su di loro. 

In mezzo a questo mix di aspettative, sogni, delusioni e tentate rinascite l’autrice sembra riporre nelle nuove generazioni l’aspetto più maturo e moderatamente cinico. La piccola Lulú, nativa digitale, si presenta come la più determinata, equilibrata e consapevole caratterizzazione dell’intero scritto vincitore del Premio Pulitzer nel 2011 ed oggi riproposto dal gruppo editoriale Gedi.

Nella sua versione originale il titolo è “A Visit from the  Goon Squad“. In effetti è questa la sensazione che abbiamo quando ansie, rimpianti, occasioni perse e opportunità rincorse fanno capolino nella nostra vita: una visita di un gruppo di teppisti: degli infami, dei bastardi, appunto. Tuttavia la Egan ci ha sottolineato un aspetto (ed un insegnamento) importante a questo riguardo. Il tempo è un bastardo, è vero… ma noi, che nel tempo possiamo anche dolorosamente modificarci, siamo più bastardi di lui.

 

Jennifer Egan, “Il tempo è un bastardo”, Roma, GEDI gruppo editoriale S.p.a., 2018

Titolo originale: A Visit from the  Goon Squad

Foto di Francesco Bordi ©

 

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