Due grandi donne, un libro che non è un libro, la voglia di esistere a prescindere da tutto: “Sognando Jane Austen a Baghdad”

di Francesco Bordi

Davvero notevole, bisogna dirlo, il lavoro di Bee Rowlatt e May Witwit edito dalla Penguin nel 2010 e pubblicato in Italia dai tipi delle Edizoini Piemme. Lo scritto ha delle particolarità strutturali già di per sé accattivanti. Innanzitutto “Sognando Jane Austen a Baghdad” non è un libro propriamente detto, da qui la motivazione del definirlo “lavoro”. Quello che il lettore tiene fra le mani non è un racconto ponderato e organizzato, né tanto meno un saggio oppure uno zibaldone. Pur non appartenendo ad alcuna di queste categorie letterarie la traduzione di “Talking about Jane Austen in Baghdad”, nell’originale inglese, è un testo estremamente avvincente ed è anche un sorta di “meta-testo”, intendendo indicare con questo termine il fatto che il lettore ha una partecipazione quasi attiva alle vicende esposte. Infatti a circa tre quarti della lettura totale ci accorgiamo chiaramente di quanto, in una certa misura, abbiamo fatto parte del testo…

Il brossurato in questione raccoglie l’intero carteggio o, più correttamente, lo scambio delle mails che si sono scritte la giornalista della BBC, Bee Rowlatt, dall’Inghliterra e l’insegnante di letteratura inglese, May Witwit, in Iraq, tra il 2005 ed il 2008. Attenzione: si tratta di un semplice scambio di e-mails, non si tratta di un racconto epistolare. Sono le reali impressioni e principalmente i resoconti sull’attualità dell’Iraq dalla caduta di Saddam Hussein fino al controllo statunitense del territorio, fra due donne “scopertesi amiche” che lettera dopo lettera, mail dopo mail, si aprono l’una con l’altra sino a divenire sostegno reciproco per entrambe.

Il carteggio copre gli anni più terribili per la nazione irachena ed in particolare per i cittadini di Baghdad. Il contatto tra le due autrici nasce proprio nel periodo delle elezioni nello stato mediorientale, quando Bee intervistava, anche via mail, alcuni esponenti di cittadini iracheni cresciuti all’estero e poi tornati in patria, per il programma d’informazione internazionale “The Word”. Fra questi, ecco May che aveva vissuto in Gran Bretagna dal 1960 al 1975 per poi tornare nelle tormentate terre arabe. Le due donne scoprono ben presto la loro affinità ed il loro rapporto epistolare si prolunga anche dopo l’intervista fino a diventare stabile. Si scambiano opinioni sui grandi autori della lettura anglosassone, si confidano i rispettivi malumori e le lamentele nei confronti dei rispettivi mariti. Nelle loro lettere Bee e May affrontano i temi più disparati: dalla religione alle tradizioni, dallo zodiaco alle professioni, dai racconti d’infanzia alle disillusioni. Tuttavia a mantenere lo scettro dell’attenzione rimane dolorosamente la situazione a casa di May. La condizione dei civili è impressionante. A Baghdad si muore con una facilità estrema. Ogni persona armata è un pericolo, sia che si tratti si uno Sciita o di un Sunnita o ancora di un Americano giunto a portare la “democrazia”. Inoltre alcune classi sociali come quella degli insegnanti viene spesso presa di mira e le minacce che giungono presso il corpo docente dove insegna la co-autrice spesso vengono confermate nei cruenti fatti della cronaca quotidiana. Anche insegnare un classico della lettura inglese o trattare materie come diritti umani diventa difficoltoso e pericoloso. Bisogna utilizzare le espressioni ed il lessico con particolare attenzione. Pena: l’eliminazione dei docenti e dell’intera classe, che nel caso di May è costituita da sole donne.

La dialettica tra le due diventa così quasi surreale. May nelle sue mails parla di morti, di civili frequentemente senza elettricità, privi di carburante e spesso impossibilitati a svolgere la minima delle attività concepibili: fare la spesa, guidare una macchina, recarsi al lavoro (per chi ancora conserva un’occupazione). Questa donna araba descrive con sofferenza le degradazioni e le umiliazioni che il popolo iracheno deve sopportare suo malgrado stupendosi al contempo di come la maggior parte degli altri Paesi, sia arabi che occidentali, veda il suo popolo come gente “priva di sentimenti”. Bee da parte sua risponde, consapevolmente, con narrazioni volte a distrarre la sua amica dalla vita angosciante ed al limite dell’umano. Quindi la giornalista rilancia con “pisciate” e “vomitate”, che concernano le sue tre bambine piccole, feste di quartiere, crisi premestruali, viaggi e frustrazioni di coppia. La risultante fra i due approcci al quotidiano lascia a volte impietriti, ma più spesso ruba più di un sorriso al lettore. Bee sa che unirsi alle devastazioni psicologiche di cui la sua corrispondente è vittima non gioverebbe a nessuno. A conti fatti la tecnica della donna inglese risulta vincente nella stragrande maggioranza dei casi.

I racconti quotidiani dunque aiutano, ma non possono proteggere May e suo marito Alì da una morte che sembra avvicinarsi sempre di più. La soluzione individuata è far espatriare la coppia irachena il prima possibile con destinazione Londra, ma il progetto che nasce gradualmente nelle lettere delle due non è assolutamente di facile attuazione. Sono molti gli ostacoli che si presentano nei piani che vanno prendendo forma presso i rispettivi indirizzi di posta elettronica, ma la situazione nelle terre appare sempre più insostenibile. Oltre al rischio di perdere la vita, che sembra essere il minore dei mali nelle parole di May, la preoccupazione maggiore è rivolta alla possibilità di impazzire. Quanto si può sopportare un’esistenza vissuta nelle privazioni, nelle umiliazioni e nel costante risveglio fatto di esplosioni, bliz militari e perquisizioni a tradimento? Occorre tentare di lasciare lo stato, ma nonostante l’aiuto del network d’informatori utili connessi al lavoro della giornalista anglosassone e di suo marito Justin (reporter televisivo), gli intoppi si moltiplicano con un certo accanimento e la mente dei due Iracheni comincia così a dare segni di cedimento…

Ero scettico nell’approcciarmi al lavoro delle autrici/protagoniste. Non mi convinceva un libro risultato da un elenco di mails e ancor meno mi convinceva un titolo che rimandava a sogni di classici letterari inglesi in una terra araba. “Sognando Jane Austen a Baghdad” si è invece rivelato un testo convincente e molto ben scritto. Si tratta di un titolo realizzato da due amiche dalla considerevole cultura, da spiriti che non accettano di piegarsi, da individui che non si arrendono, da due grandissime donne che hanno caparbiamente dimostrato che anche in una condizione in cui non c’è spazio per il più piccolo dei miglioramenti, è possibile cambiare lo stato delle cose.

Questo semplice insieme di lettere presentato a voi lettori spiega in maniera chiara, diretta e piuttosto esaustiva la condizione dei civili in Iraq negli anni immediatamente successivi alla caduta del capo di stato forse in maniera migliore di qualunque saggio, romanzo o ancora dei documentari che in precedenza si sono incentrati sull’argomento.

“Talking about Jane Austen in Baghdad” è una storia vera ed è probabile che nel apprendere il finale della triennale vicenda raccontata da Bee e May, più di un lettore riscontrerà un languido appannamento della vista nel corso della fruizione del testo

Buona Jane Austen,

Buona Baghdad e Buona Londra,

Buona lettura!

Bee Rowlatt & May Witwit, “Sognando Jane Austen a Bagdad”, Milano, Edizioni Piemme, 2010

Titolo originale: “Talking about Jane Austen in Baghdad”

Foto di Francesco Bordi ©

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