La scelta fra il cuore del legno antico ed il proprio cuore nel (dis)umano vivere

di Francesco Bordi

Il mondo delle miniere, o meglio il sotto-mondo delle miniere, ha sempre costituito una materia narrativa controversa. Da un lato il grande fascino che strutturalmente emanano le grotte scavate a moltissimi metri sottoterra: buchi nell’intimità della roccia nei quali può accadere qualunque cosa. Allora entra in gioco il mistero, il rischio, l’adrenalina, il compiacimento di riuscire con la sola forza della mani che stringono un piccone ad avere la meglio su una matteria rocciosa davvero molto antica. Dallo stesso topos letterario però deriva l’inquietante aspetto delle morti… delle troppe morti che avvengono in quei cunicoli dimenticati da Dio e dagli uomini, da tutti gli altri uomini “normali” che vivono in superficie. La sicurezza non esiste in miniera, nemmeno quando vengono adottate tutte le norme del caso. Una fuga di gas improvvisa, il crollo di una parete rocciosa in seguito ad una picconata maldestra o ancora il più classico cedimento del “soffitto” della spelonca in corso d’opera determinano in un tempo brevissimo la cessazione dell’esistenza di lavoratori veri, oppure in altri casi ne causano pesanti e lapidarie menomazioni. Chi svolge questo lavoro spesso ha fatto una scelta di ripiego. Le condizioni a limite dell’umanità che sussistono nella vita delle cave determinano frequentemente una cronica rassegnazione che può essere sopportata solo a fronte di un urgente bisogno di denaro. E se oltre a tutto questo si andasse ad inserire una premeditazione di tipo omicida?

L’ambiente connesso alle cave rispecchia l’ambiguità del mestiere ed è fatto quindi di uomini al margine della legalità, di accordi più o meno leciti, di patti tutt’altro che trasparenti per non dire oscuri, come oscura è la vita alla base degli strapiombi visibili dalla superficie. Dentro e sotto la terra si lavora nudi, si suda, si crepa dal caldo quando si entra e si gela dal freddo quando, o meglio SE, si esce. In miniera si sbatte sempre la testa sulle sporgenze, si abbassa la vista, si sente di meno perché i suoni arrivano in maniera differente, quasi irreale e si ha a disposizione meno ossigeno. In sostanza una percezione fortemente alterata dell’esistenza umana…

Se si applica quanto detto alla nazione cinese, ecco che tutte le caratteristiche individuate assumono una connotazione ancora più esasperata. La Cina, così come il Sud-America, l’Italia e tutte le realtà nazionali dalla società particolarmente variegata e complessa in cui i governi non sono in grado di assicurare una stabilità di benessere minima omogenea, è spesso spettatrice semi-silenziosa delle varie dinamiche non esattamente limpide che avvengono nei propri territori. In un ambiente come quello descritto malavitosi, imbroglioni e uomini votati alla frode trovano terreno fertile a scapito di persone colte in un momento d’ingenuità o semplicemente troppo speranzose di racimolare del denaro veloce per aiutare le proprie famiglie.

Zhao Shanghe & Tang Zhaoyang sono esemplificativi in tal senso, ma possono essere anche Song Jinming & Tang Zhaoyang e ancora Wang Mingjun & Zhang Dunhou. Considerata la natura del loro lavoro i due cinesi sono spesso costretti a cambiarsi il nome, a volte lo muta uno solo dei due ed altre volte ritengono opportuno modificare entrambi i loro nomi. L’occupazione dei protagonisti di “Legno Sacro” (Shen Mu, in originale) è sia mentale che fisica. La coppia di imbroglioni ha uno schema fisso: si reca nelle grandi stazioni di trasporti dove si condensano molte “risorse umane” in cerca di lavoro. La maggior parte di loro cerca informazioni per lavorare in miniera per una o più stagioni. Nella massa di uomini venuti da ogni parte, da ogni piccolissimo centro rurale per occuparsi e portare dunque denaro a casa, Zhao e Tang individuano sempre un uomo apparentemente meno sveglio di altri: “Il bersaglio” lo chiamano convenzionalmente fra di loro. Dunque questo bersaglio viene raggirato, allettato da promesse di bei guadagni in miniere di loro conoscenza. Giunti in maniera il gatto e la volpe cinesi convincono il malcapitato a fingere di essere un loro parente, in modo tale da offrirsi come compatti e navigati lavoratori di famiglia abituati da sempre a lavorare in miniera. Dopo pochi giorni di lavoro tanto intenso da conquistare la fiducia del datore, il bersaglio viene ucciso a picconate in testa all’interno delle grotte. Immediatamente dopo, la coppia simula un incidente provocando l’esplosione della cava dove giace il fresco cadavere. L’ultimo passo è il risarcimento in denaro contante che Zhao e Tang domandano al capo-miniera, in qualità di parenti della vittima, per evitare che entrambi si rechino direttamente presso le istituzioni a denunciare l’accaduto. Chiaramente più la struttura mineraria si mostra manchevole nelle norme di sicurezza da rispettare e più alto è il risarcimento che i delinquenti reclamano a gran voce.

Il racconto di Liu Qingbang si sviluppa in maniera rapida e cruda. Le descrizioni della vita in maniera sono tanto efficaci quanto i dialoghi fra gli assassini e le loro vittime nel momento del lungo raggiro. La narrazione funziona proprio per questo. La crudeltà della coppia e gli avvenimenti descritti sono asettici, impressionante a tal proposito l’efferatezza delle uccisioni descritta in modo semplice con pochi ma ben ponderati dettagli circa la dinamica. Non traspare, dichiaratamente, l’eventuale senso di colpa dei protagonisti o un giudizio morale sulla vicenda. Persino nel finale, quando uno dei due comincia a pentirsi delle proprie azioni provocando un intoppo con il giovanissimo “bersaglio” adescato, non ci sarà una provvida sventura travestita da lieto fine a risollevare la tensione che permea l’intero racconto. Zhao infatti mostrerà alla fine di avere un’anima sotto la sua scorza oscura, così come il carbone estratto in miniera ha in sé lo spirito del legno antico: un legno sacro. Questo tuttavia non determinerà una risoluzione per i delitti perpetrati né tanto meno si potrà leggere di un risarcimento materiale o morale per le vittime cadute.

Questa mancanza di un vero e proprio lieto fine conferma la natura realistica del lavoro vincitore del prestigioso “Premio Lao She” nel 2002. Legno Sacro è uno spaccato di vita di miniera nei cui drammi si inseriscono orribili raggiratori che fanno dubitare della loro natura umana. Nelle cave descritte si mischiano miseria e cameratismo, sudore e fame, depressione e prostitute, demolizione e umanità. Estremamente realistiche le condizioni in miniera descritte e immancabili i caratteristici elementi d’appartenenza tipici dei racconti asiatici come la saggezza nelle parole del più vecchio dei minatori in scena (assai suggestiva la declinazione della valenza del legno antico nelle sue semplici parole), le superstizioni a cui fare attenzione nell’attuazione di qualunque progetto da portare a termine ed il fattore sesso percepito come costante elemento imprescindibile alla base del quotidiano: dai contratti, ai festeggiamenti, dai riti da strada ai riti più alti, dal commercio connesso a ristorazione e massaggi alle clausole dei risarcimenti.

Liu Qingbang (che ha inoltre l’indubbio merito di conoscere realmente la materia narrata avendo lavorato nove anni in miniera prima di diventare giornalista e quindi scrittore) con il suo “Shen Mu” si va ad inserire perfettamente ed a buon diritto in una delle ultime tendenze della letteratura cinese contemporanea. Dopo una serie di avvenimenti e movimenti storico-culturali cominciati all’epoca di Mao e proseguiti attraverso l’incontro/scontro con le realtà occidentali sempre più vicine, questo tipo di narrazione può oggi definirsi come una sorta di letteratura del sangue e della sofferenza. In questo (e non solo) la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina (Taiwan) possono dirsi piuttosto simili, avendo dimostrato la medesima sensibilità artistica verso le vicende e le vicissitudini della loro medesima nazione.

– Liu Qingbang, “Legno sacro”, Milano, O barra O edizioni, 2012

– Titolo originale: “Shen Mu”

Foto di Francesco Bordi ©

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