Lo stereo

di Francesco Giovannelli

(© tutti i diritti riservati)

 

 

Lo stereo fu mia madre a regalarmelo,                                                                                                             (immagine da http://www.educolor.it/disegno-da-colorare-stereo-i8710.html)

a novecentomila lire e una lite con papà.

E io non ci credevo, era mio,

era lì che gracchiava (senza antenna)

e io mi stropicciavo gli occhi

e preparavo le orecchie

e nuotavo in quell’attesa…

Nero, i fili da attaccare staccare sistemare

il cuore al ritmo della radio

e la radio al ritmo dei miei (solo miei!) capricci.

Compatto, e quelle casse come uno stradario,

tre vie per ogni posto sconosciuto

o paesaggio immaginato

sul letto, tra sonno e sogni.

E il primo era lì, maestoso e leggero,

e che te lo dico a fare.

E avevo… boh, tredici anni, forse meno.

Assieme a lui a cambiare gusti

a creare mostri e pregiudizi

e abbattere argini, confini e adolescenza.

Assieme a lui a perdermi e trovarmi

a ballare, ridere, piangere sfogarmi

e a far l’amore, sì

ché se parlasse… ma parla!

se parlasse, dico,

ma è per questo che scrivo:

niente sorprese dagli amici!

 

Poi però dimentichi, fatalmente,

accendi, lo vedi e non lo vedi

(ma è sempre lui che senti)

spegni la luce sull’ultima nota

e non ti accorgi, e dormi

e buona notte.

Per giorni, ore, o anni, tanto è sempre lì

come una vita presa di striscio

e poche parole per riempire una montagna di tempo.

 

Così ora mi sveglio e ho trentacinque anni

(piacere, Francesco)

e ho cambiato casa, quartiere e opinioni.

Mia madre non c’è più,

e mia nipote la ricorda ogni volta che la chiami.

Mi sveglio tornando dal lavoro, dicevo,

il passo interrotto a circa un passo dalla noia.

Poi quasi dimentico un pensiero costante

per la scossa di un attimo,

di uno stereo che suona.

Ed è sempre lì, nero, fiero, il figlio di troia

a portarmi indietro, avanti nel tempo

come io lui nello spazio, dentro i pacchi del trasloco.

E suona, sempre, tutte le musiche e tutti i volumi,

ma stasera (alla buon’ora!) ho capito il messaggio

arpeggiato appena dalle casse

a questo po’ di magone.

Perciò stasera, come fanno i pazzi, ringrazio.

“Sono qui”

Grazie.

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