Pastora Pavón

di Diego Guglielmi

Questo ritratto[1], ultimato nel 1918, è un olio su tela di Julio Romero de Torres. L’artista, dopo averne realizzato due copie, ne spedisce una in dono alla modella. Lei la guarda, poi la sbatte infuriata contro una poltrona, distruggendola: Ma come mi ha visto a me, questo tizio?!” [2].

Perché, dunque, affannarsi a ritrarre una donna dal carattere simile – e più di una volta?

Perché Pastora Pavón è la niña de los peines, la ragazzina dei pettini. Strepitosa interprete di cante flamenco, provoca assembramenti nelle strade dei café cantantes in cui si esibisce, tanto che, talvolta, devono intervenire le forze dell’ordine a disperderli[3]. Nemmeno il proprio nome d’arte le piace troppo: glielo affibbiano da piccola per via di un tango che canta spesso, ma che abbandona presto perché “non ha sufficiente forza flamenca” [4]. Per ripicca, nonostante le insistenze dei discografici, non lo ha mai voluto incidere:

 

Ogni stella si forma circondata da una nebulosa e per Pastora non è diverso: gitana di Siviglia, è figlia, sorella e poi amante di cantaores[5]. Nasce nel 1890 e diventa grande subito: a otto anni sostituisce in un’esibizione il fratello maggiore (era ubriaco); a undici debutta a Madrid, poi Bilbao, poi la Spagna intera.

Alegrías, tientos, bulerías: domina tutte le forme del cante flamenco, ne tramanda alcune altrimenti perdute, ne forgia di nuove. Possiede, pur così giovane, una voce stentorea e metallica che sa farsi smania, pianto, grido. Una voce che sa essere sorprendentemente ironica.

Pastora, crescendo, diventa una donna passionale e brillante e, seppure analfabeta, stringe amicizia con artisti e intellettuali (Zuloaga e Romero de Torres, de Falla e García Lorca). Loro, come spesso accade, sono attratti da quell’arte viscerale che nasce nei quartieri umili (pensate al fado, pensate al tango).

Nel 1968, quando è ancora in vita, le erigono una statua nell’Alameda de Hercules, a Siviglia. Nel 1999, la Junta de Andalucía dichiara le sue registrazioni bene d’interesse culturale. Non si tratta di album di studio, queste registrazioni sono vive: lei dedica i pezzi agli amici, apostrofa i musicisti; loro la incitano, tengono il tempo, applaudono. Il suo canto vibra come una tensione elettrica, dà forza alle parole anche quando, sulla carta, non ne hanno affatto. Aprite youtube, fate la sua conoscenza!

Alegrias:

“Ho dato uno scudo al barcaiolo, per attraversare l’Ebro e vederti: gli amori di Navarra sono cari, però piacevoli.”

Bulerías (suggerirei solo la prima):

“Lascia che passino tre giorni, che si calmi la gente, tuo padre e mia madre – e verrai al mio fianco.”

Bambera:

“Tra lenzuola di lino e trapunte cremisi sta dormendo il mio amante, dorme che sembra un serafino.”

Tientos:

“Domandò in un’occasione Salomone, pur essendo così saggio, come spera un cuore saturo di gelosie e umiliazioni.”

La veleta:


“Se io sono la banderuola, tu sei l’aria!”

 


[1]http://commons.wikimedia.org/wiki/File:La_niña_de_los_peines_by_Julio_Romero_de_Torres.jpg

[2]Cfr. Manuel BOHÓRQUEZ CASADO,La niña de los peines: en la casa de los Pavón, Sevilla, Signatura Ediciones, 2000, p. 278.

[3]Cfr. http://quemireuste.wordpress.com/2011/11/18/la-nina-de-los-peines/

[4]Cfr. http://quemireuste.wordpress.com/2011/11/18/la-nina-de-los-peines/

[5]Esistono pregevoli incisioni dei suoi fratelli Arturo e Tomás Pavón o dei suoi amori: il leggendario Manuel Torre, Manuel Escacena, Pepe Pinto.

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