Quell’adorabile cafona che non t’aspetti di amare: Olive Kitteridge e la sua voglia di vita

di Francesco Bordi 

Antipatica, brutta, scorburtica, fastidiosa ed a tratti odiosa. Olive Kitteridge è tutto questo ed anche molto altro di negativo. Eppure… non si può non volerle bene.

Esibendo con disinvoltura un disegno narrativo davvero solido e positivamente infingardo, il premio Pulitzer Elizabeth Strout spiazza e non poco attraverso la presentazione della quotidianità cittadina di un piccolo paesino nel Maine che si affaccia sull’Atlantico. Non sono però le atmosfere portuali di Crosby a condire i racconti di “Olive Kitteridge”, benché siano piuttosto inclini al fascino folkloristico che sempre sviluppa quel tipo di aree. Non sono nemmeno i vividi dialoghi dei molteplici personaggi che si danno il “turn over” nell’ambito dell’intero romanzo, con protagonisti e seconde linee che scompaiono e riappaiono come se si dovessero dosare le energie di una squadra calcistica che sta per affrontare più competizioni professionali. Sono tutti elementi portanti ed accattivanti, tuttavia la solidità della narrazione è resa dalla non facile idea, magnificamente sublimata, di legare la serie dei racconti che compongono il romanzo attraverso il fil rouge dell’ultimo dei personaggi che la maggior parte degli scrittori avrebbe scelto per quel ruolo: la sfacciata ed arrogante professoressa di matematica in odor di pensione: Olive Kitteridge.

Sin dall’inizo il lettore “tifa” ora per il marito, ora per la giovane donna che lavora nella farmacia di famiglia, ora per una ragazza affetta da disturbi alimentari. Ancora un improvviso fruitore, andando avanti per quelle pagine, potrebbe rivolgere le sue simpatie per una triste ma capacissima cantante di night-club, o per quel figlio poco compreso costretto a cercare il senso della propria vita nella caotica  e dispersiva New York, ma non per lei. L’odiosa grassa ed irrispettosa Olive proprio non riesce a riscuotere consensi, tanto che verrebbe quasi da domandarsi il perché dell’omonimo titolo consegnato alla raccolta di questi racconti. Poi però accade che la Kitteridge cresce. La sua figura umana cresce, la sua goffa capacità di empatia cresce, la sua semi-dichiarata fragilità cresce… così come la sua schiettezza e la sua impensabile sensibilità. La sua autrice si diverte (e non poco) a porla in situazioni vere, in circostanze che la vita spesso presenta ad ognuno di noi ed è lì, proprio lì, nello sfiorare una coppia in crisi, nel comprendere un disagio giovanile dei suoi studenti o nello sbattere nei propri errori seminati nell’ambito familiare, facendosi piuttosto male, che Olive Kitteridge dà il meglio di sé trasformandosi lentamente in una persona da comprendere, da scusare, da perdonare e da amare: una di noi.

Questo romanzo, o questa sequenza di racconti che dir si voglia, è vita vera, è quotidianità, è progetti andati a male, è rinascita è voglia di sbirciare i sensi e di amare, anche carnalmente, nonostante l’età che avanza. Difficile non avvertire vicine le sensazioni e le paure e la necessità di uscire dal proprio “guscio di conforto” che i personaggi dei racconti si trovano, loro malgrado, a vivere e condividere con noi.

Lo stile di Elizabeth Strout è tangibile ed efficace e la cosa più grave che si evince leggendo le vicende collegate ad Olive è che l’autrice statunitense ne è maledettamente consapevole.

Complimenti Ragazzaccia!

Elizabeth Strout, “Olive Kitteridge”, La biblioteca di Repubblica – L’espresso, 2017

(© 2009 Fazi editore )

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