Sacrificare i pezzi migliori per affermarsi: Beth Harmon e Walter Tevis

di Francesco Bordi

L’eco dello schermo, piccolo o grande che sia, è sempre potentissima. Vale anche quando le immagini proposte riguardano piccoli cavalli, pedoni ed alfieri sapientemente gestiti dalla loro… “regina”.

Agli inizi anni degli ’80 il gioco degli scacchi ha goduto di una certa popolarità e di una buona diffusione nel nostro Paese. Buona parte dei miei coetani può dire d’aver posseduto, in giovanissima età, una scacchiera pieghevole con le pedine in plastica. Molti dei ragazzi dell’epoca hanno giocato su quelle sessantaquatro case, magari non in maniera eccelsa, ma servendosi solamente delle regole base. Persino i primi programmi ludici su PC hanno utilizzato quel gioco con pedine bianche e nere, anche se in una versione molto rudimentale, per intrattenere i loro fruitori. Quanta soddisfazione allora poteva derivare dall’aver battuto un computer a scacchi! Proprio in quel periodo però la grande macchina dell’intrattenimento ha cominciato a fare passi da gigante e le scacchiere finiscono presto in cantine e soffitte. I videogiochi infatti sono diventati sempre più realistici e coinvolgenti, le videocassette hanno invaso le case, così come successivamente sarebbe accaduto per i DVD ed i Bluray, e le console hanno preso piede in maniera definitiva fino ad arrivare alla situazione attuale che vede oggettivamente il trionfo della rete in tutti gli ambiti legati alle nostre attività, enterteinment incluso. Ecco però che, proprio grazie ad una serie veicolata da internet,  quelle stesse schacchiere, dimenticate quasi completamente, abbandonano la loro configurazione di nicchia e tornano a fare capolino nei negozi, nelle librerie e persino nei corsi a distanza per i curiosi.

Beth Harmon e gli scacchi…

Un binomio che ha già vinto e che Netflix ha saputo cavalcare. Ancora una volta le immagini hanno potenziato le pagine di quello che era partito solamete come un romanzo dal successo peraltro non così trascinante. Walter Tevis ha dato vita ad altre opere che hanno avuto l’onore di essere trasposte nel cinema. “Lo Spaccone” (The Hustler) era un certo Paul Newman nelle sale cinematografiche, “L’uomo che cadde sulla Terra” (The man who fell the Earth) è diventato un film nel 1976 ed ha dato vita ad un musical dal titolo “Lazarus” nel 2015 che vanta il lavoro sonoro di David Bowie. Nel 1986 Martin Scorzese, Paul Newman e Tom Cruise hanno lavorato a The Color of the Money, trasposizione de “Il Colore dei soldi” sempre scritto dal Signor Tevis. Ciononostante il nome dell’autore non è di quello che riecheggia nell’Olimpo degli immortali. Eppure il versatile scrittore statunitense ha uno stile ben preciso, non manieristico. Non teme le sfide. Nei suoi lavori infatti il “papà” di Beth Harmon, ossia “The Queen’s Gambit”, ha affontato temi come la fantascienza, il biliardo, l’alcoolismo, la solitudinen e… gli scacchi. Nonostante questo curriculum è stato comunque necessario l’intervento di Netflix per far uscire nuovamente fuori il suo nome.

Dopo aver finalmente letto “La regina degli scacchi”, ripubblicato tardivamente in Italia, credo che la ragione di questa altalenante presenza dell’autore nelle nostre librerie  e nei nostri ricordi sia dovuta alla suo approccio fortemente personale alla scrittura. Tevis aveva deciso di realizzare un testo ambietato nel mondo dei tornei professionistici degli scacchi. Per farlo si è dichiaratamanete servito dell’ausilio di scacchisti eccellenti nonché della revisione delle bozze da parte di Bruce Pandolfini, Maestro nazionale e fine insegnante all’epoca della stesura del testo. Il risultato è un libro che rimane fortemente impresso nel lettore ma grazie soprattutto alle atmosfere che riesce ad evocare. La tormentata crescita della giocatrice e protagonista Beth Harmon è senza dubbio il tema più coinvolgente. Passare da un orfanotrofio ai palcoscenici dei tornei internazionali non lascia i lettori indifferenti, soprattutto se l’evoluzione non risparmia dipendenza da farmaci, crisi d’alcolismo e forme meno note di attacchi di panico. L’ambientazione anni ’60 invece riesce a regalare quell’accenno di colore sufficiente a farci sorridere. Sono anni in cui gli Usa temono il comunismo in toni quasi imbarazzanti. Si tratta del periodo in cui i giovani capiscono per la prima volta di poter guidare il loro tempo e le loro generazioni, tanto che un quarantenne vine visto addirittura come un uomo un po’ in là negli anni. Le riviste dell’epoca dominate da copertine di costume ed interviste impertinenti contribuiscono ulteriormente ad allaggerire una narrazione che ondeggia tra la complessa personalità della protagonista e la sua voglia di riscatto per cui tifano, contemporaneamente, i coprotagonisti ed i lettori. In questo mix che tenta di equilibrare tutti gli elementi paradossalmente gli scacchi rappresentano la parte meno fruibile della vicenda. Le descrizioni delle partite nei tornei, le aperture messe in campo dai giocatori così come i ragionamenti portati avanti da chi si sfida sui sudati riquadri da percorrere con i propri pezzi sono di natura piuttosto tecnica. Anche il lettore che ha mosso le pedine nel proprio passato, come chi vi scrive, ha difficoltà a seguire le sequenze relative agli scambi di gioco. Ecco, forse proprio qui risiede il limite e, allo stesso tempo, la grande personalità di Walter Tevis. All’autore del Kentucky non sembra interessare il grande pubblico. Se lui decide di realizzare uno scritto ambientato fra sedie, torri, regine e re difesi da pedoni, quel testo vedrà la luce anche se con il forte limite di un tecnicismo non fruibile per tutti. D’altronde l’aspetto delle sfide e della competizione era già presente ne “Lo spaccone” e lo sarà nuovamente ne “Il colore dei soldi”, dunque The Queen’s Gambit non è altro che una delle tante sfide a cui questa versatile penna ha scelto di prendere parte e poco importa se molti potenziali lettori non lo riescono a seguire in tutte le 322 pagine del suo libro.

A questo punto è doveroso dire che il romanzo su Beth Harmon rimane un buon lavoro di scrittura nonostante la cospicua presenza di descrizioni settoriali che rischiano di distarre il proprio pubblico. A tal proposito però è altrettanto doveroso riconoscere a Scott Frank e Allan Scott, il merito d’aver fatto del gioco degli scacchi il punto di forza della serie televisiva anzichè il limite strutturale. Gli autori Netflix hanno saputo prendere il meglio dal testo originale senza snaturarlo, mantenendo le atmosfere presenti nel romanzo e sfruttando al massimo l’ossessione della protagonista per gli scacchi in modo tale che la vera protagonista della vicenda fosse la fosse la strategia potenzialemte presente in ognuno di noi, tanto nel gioco quanto nella vita.

Certo, resta nell’ombra quel dubbio… Avrei apprezzato così tanto questo libro così ricco anche di passaggi tecnici se prima non avessi visto tutte le sette puntate della serie sulla piattaforma televisiva?

Sicuramente al Signor Tevis non sarebbe importato.

D’altronde lui stesso ce lo ha insegnato, talvolta per affermarsi occorre sacrificare dei pezzi importanti, persino la Regina degli scacchi…

 

 

Libro: Walter Tevis, “La regina degli scacchi”, Milano, Mondadori, 2021.

Titolo originale: “The Queen’s Gambit”

© tutti i diritti riservati

Serie: “La regina degli scacchi”. “The Queen’s Gambit”. Netflix © tutti i diritti riservati

 

 

 

 

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