Come il vento

 

di Marco Maresca

( immagine da http://it.paperblog.com/vento-d-estate-432877/ )Certe volte accade che una parola detta o ascoltata, un profumo, una melodia, siano capaci di riportare alla memoria luoghi, persone, fatti creduti dimenticati per sempre. Certe volte, invece, il passato ritorna in vita senza alcun motivo apparente, in modo così misterioso da sembrare un vento gelido d’inverno che giunge da ogni direzione. Solo perché è giusto così. Credo che Marta sia riemersa dai miei ricordi classe 1949 allo stesso modo di come si ritrova la propria identità dopo avere perso la memoria a causa di un colpo in testa. Come l’aurora che l’oscurità ha cercato di far dimenticare. E che una nuova oscurità, per un senso ignoto di giustizia, decide di riportare in vita.

Marta. La mia Marta.

Quella sera fredda di dicembre il cielo era sereno e le stelle, poiché le luci artificiali non avevano ancora iniziato a corrompere l’aria di Roma, parevano una distesa di sabbia. Il vento era assente. Per questo, sulla mia lambretta B-125 bianca e verde nuova di zecca, io e Marta avevamo deciso che dovevamo inventarcelo. Volevamo creare un vento freddo, ancora più freddo di quella sera.

Andavamo veloci, io e Marta. Le nostre lacrime si disperdevano lungo i viali. Ogni tanto, però, le mie finivano dritte sul suo viso. Lei adorava esserne colpita. Se poteva se le leccava e poi, con le labbra umide, mi dava un bacio. Marta era adorabile nei suoi gesti un po’ insensati.

Io guidavo la lambretta, ma pensavo a lei. Di tanto in tanto, quando non dovevo cambiare marcia, le accarezzavo una gamba. E subito lei metteva la sua mano sulla mia. Era uno dei modi che conosceva per dirmi ti amo. Il contatto col suo seno, che spesso appesantivo con un puntuale colpo di freno, mi faceva sentire un ragazzo fortunato.

Quella sera di dicembre, correvamo lungo i boulevard di Roma. E non c’era alcuna ansia di futuro tra i palazzi. Né tra gli argini del fiume o tra le automobili che viaggiavano solitarie. Correvamo nel presente e ci bastava. Lacrime, mani che si accarezzano e seno contro la schiena. Quella sera era tutta la nostra vita.

Ponte Milvio ci apparve maestoso, come non lo era mai stato. Così, decidemmo di fermarci per rendergli omaggio. Scendemmo dalla lambretta e ci incamminammo, mano nella mano, verso quel selciato ricco di storia e di storie. Arrivammo al centro, e ci mettemmo quasi di fronte a una coppia che si stava abbracciando. Io mi appoggiai al parapetto. Marta si appoggiò a me, forse inconsapevole dell’intimo sussulto che il suo contatto mi dava sempre. Misi una gamba in avanti per evitare l’imbarazzo. Ci guardammo negli occhi. Ricordo lo stupore dell’effetto che su di me fecero in quel momento i suoi occhi. Come li guardassi per la prima volta. Era bella Marta. Dagli occhi partiva una bellezza indecifrabile che le avvolgeva il viso e da lì si ergeva verso di me per darmi la sensazione di pienezza che solo l’infinito può dare. Marta era per me l’infinito. E i suoi occhi stavano nel centro dell’universo.

L’unione delle nostre labbra mi sorprese, tanto la stavo cercando. Ogni bacio era il coronamento di un desiderio e l’inizio dell’attesa di un nuovo bacio. Io mettevo spesso le mie mani ai lati della sua testa. Le impedivo di ascoltare per toglierla al mondo e tenerla tutta per me. E così mi convincevo che il mondo potesse restare fuori da noi per sempre. E sono convinto che durante i nostri baci questo accadesse sul serio. Il mondo spariva davvero e noi restavamo gli unici abitanti dei nostri baci.

Era amore? Era amore.

La notte proseguì la sua corsa verso il mattino. Noi le facemmo compagnia ancora un po’, abbracciati, a respirarci, a viverci. Poi ci staccammo e tornammo, mano nella mano, alla lambretta. Salimmo senza voglia e ripartimmo a tutta velocità a squarciare il buio e a creare vento freddo.

L’ultima lacrima che le consegnai prima dello schianto doveva avere il sapore beffardo di una bugia. Perché non mi baciò, come faceva sempre. Forse avrebbe voluto dirmi ancora ti amo poggiando la sua mano sulla mia. Ma non ci fu il tempo. Il buio di quella sera di dicembre si oscurò del tutto. Il cielo stellato che fino a quel momento era stato vigile sopra le nostre teste fu per un istante sotto di noi. E Marta sparì in quella distesa di sabbia.

Tutto si fermò. Tranne il vento gelido di dicembre che, ora so, da quel momento non ha smesso mai di cercarmi. E che adesso, passando dallo spiraglio della finestra, sento accarezzarmi il viso.

 

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