Dall’horror alla commedia poliziesca passando per la fantascienza e per “Coliandro”… : a voi Marco & Antonio, i “Manetti Bros”

 

di Fabio Migneco

( immagine da http://www.newscinema.it/intervista-ai-manetti-brothers-5266/ )L’arrivo di Wang era al Festival di Venezia, Paura è uscito in 3D distribuito da Medusa; con entrambi i film siete stati da poco al prestigioso Frightfest di Londra (primi a partecipare con due pellicole). Si muove davvero qualcosa per il nostro cinema di genere o sono episodi isolati?

Marco: Eh… Non lo so, non lo so… Speriamo! Secondo me si muove per il fatto che qualcosa migliore esce, ci sono stati anni in cui usciva letteralmente solo merda, non saprei come altro dire. Merda perché da una parte anche quelli con le buone intenzioni magari ragazzi, fan, fanno delle cose fatte male, parlo di quelle che vengono dal basso, magari sono idee fiche, ma realizzate male. E merda anche per i registi di una volta che ormai non riescono più a fare delle cose accettabili e quindi da quel punto di vista sì, qualcosa si muove. Il problema che riscontriamo è che nonostante questi film escano vediamo che questa cosa più di tanto non smuove le acque, mentre ci accorgiamo – e lo abbiamo scoperto da poco – che il responso all’estero è pazzesco. Cioè noi italiani se facciamo un film in italia ci cagano 5 all’estero 11 e questa cosa mi fa ben sperare. E’ vero che c’è una grossa responsabilità dei fan italiani, perché quando andiamo all’estero vediamo una partecipazione molto più calorosa, un atteggiamento più positivo. Ne parlavo ieri al telefono con Federico Zampaglione, gli citavo come esempio un ragazzo inglese nostro grandissimo fan, al quale nonostante io sia contro la pirateria e tutto il resto, per via del suo entusiasmo avevo detto “grande, te lo mando il dvd di Wang!” e lui mi ha risposto “no no io lo devo comprare, appena esce!”. E’ un altro tipo di mentalità che in effetti supporta e aiuta. Invece qui non so… per esempio qui mi sa che c’è la sala piena perché è gratis, ma se c’era da pagare un biglietto non so quanti venivano stasera, ecco…

Antonio: Purtroppo si parla di movimento, e un movimento in effetti c’è, noi, Zampaglione, Zarantonello e tanti altri, stiamo cercando di smuovere un po’ l’acqua stagna che c’è stata negli ultimi anni. Non so dove porterà… all’estero c’è molta voglia di vedere il cinema italiano, non solo perché escono film migliori, ma proprio per un approccio diverso, un entusiasmo maggiore. Il film viene visto come qualcosa che ti devi mettere lì per un’ora e mezza e ti devi divertire. Sicuramente sono film divertenti, non sono film noiosi no? E loro abbracciano le pellicole con questa mentalità…

Marco: I nostri invece stanno tutti con la gamba accavallata, con la mano così…

Antonio: Giudicano, c’è troppo giudizio e meno partecipazione. Non so se l’Italia sia pronta, è chiaro che se uscisse un nuovo Profondo Rosso sarebbe diverso, ma in generale mi sembra che il pubblico del nostro paese non sia pronto a un ritorno del genere italiano.

Cosa vi influenza oggi dopo una carriera ventennale? Quali sono le novità in ambito audiovisivo che più vi catturano e vi convincono?

Marco: Boh… Cioè ci influenza tutto. Tu dici in campo audiovisivo ma l’influenza viene pure dalla vita, dalle letture, dai fumetti, non ti so dire bene cosa ci influenza. Ti posso dire che noi siamo appassionati da sempre di cinema americano e vedo che Hollywood ultimamente è un po’ stanca, da questo punto di vista potrebbe essere un momento buono anche per noi… si ripetono, fanno solo sequel, prequel, spin-off, in questo momento meno di altre volte nella nostra vita il cinema americano ispira poco. Poi dipende, vedo Batman e mi ispira, ma sono piccole isole, nel senso che di bei film se ne fanno meno dopodiché non so… è difficile darti una risposta perché ci ispirano un sacco di cose. Nel campo dell’horror sicuramente, nonostante sia un tipo di film che alcuni ritengono già vecchio, io ho una voglia di cimentarmi col mockumentary, non l’abbiamo mai fatto, mi piacerebbe e credo che prima o poi lo faremo. E’ vero che è un genere un po’ strano e si potrebbe pensare che dopo averne visti 3, 4, 5 dici basta però forse non è vero, è un filone da sfruttare in altre chiavi, dipende sempre come lo affronti, come ogni film.

Tornerete mai a girare Coliandro, magari un lungometraggio? Con Bottega Finzioni era stato bandito un concorso per il soggetto di un possibile film sul personaggio…

Antonio: Guarda, Coliandro è una cosa oltre il lavoro, siamo anche noi i primi fan…

Marco: Oddio, è anche lavoro visto che è l’unica cosa che ci ha permesso di campare bene negli ultimi anni…

Antonio: Sì, però le altre serie italiane, non ti va di guardarle, Coliandro lo guarderei in continuazione e lo farei in continuazione per due motivi, in quanto primi fan si ha piacere a partecipare e poi perché soprattutto per noi che facciamo un certo cinema di nicchia è chiaro che fare la tv è sia fonte di guadagno rispetto ai film a basso budget, che una delle cose più belle che ci possono capitare, anche per il responso del pubblico che è stato pazzesco. Magari! Noi ci speriamo sempre, sia con Giampaolo Morelli, che col produttore che con Carlo Lucarelli. Spesso ci sentiamo ci chiediamo come si può fare per farlo tornare, portiamolo a Sky, portiamolo a questi, a quelli… Per ora è fermo alla Rai…

Marco: Per quanto riguarda il lungometraggio, noi personalmente pensiamo che la natura del personaggio risieda in una serie tv. Gli altri della squadra non sono d’accordo ma noi pensiamo che il film possa essere un problema per questo motivo: quando scrivi il film cerchi di fare qualcosa di diverso, invece Coliandro è talmente bello così che rischieremmo di rovinarlo, non abbiamo voglia di cambiarlo, però alla fine faremmo anche un lungometraggio, noi faremmo tutto col personaggio. Ci sono dei segnali positivi in Rai, qualcosa è cambiato, proprio umanamente ci sono delle possibilità che si possa tornare a farlo. E poi proprio da poco al mercato ho incontrato prima l’attrice che fa la Longhi, Veronica Logan, e dopo cento metri Loretta, la sarta di Coliandro, che tra l’altro è di Bologna e non so cosa ci facesse a Roma! E mi sono detto che tra cambiamenti in Rai e incontri casuali, ci sono dei segnali positivi che mi fanno ben sperare.

I toni horror fanno parte da anni del vostro cinema, Paura è solo l’ultimo e più palese esempio. Ma Cavie invece che fine ha fatto? Si riuscirà mai a vederlo?

Marco: All’epoca della realizzazione scegliemmo di non farlo uscire. Perché comunque è un film che ha bisogno di certe premesse, perché non è un vero e proprio film, non so se tutti sanno la sua genesi, nasce come saggio finale di un corso di recitazione per il cinema. Per essere un saggio di recitazione poi è venuto incredibilmente bene, non so per essere un film… Abbiamo pareri contrastanti, io ogni volta che lo rivedo mi piace, certo ci sono delle cose imperfette, qualche calo nella recitazione, qualcosa che poteva venire meglio, però ci stiamo aprendo a diverse possibilità, nel senso che adesso che ci siamo fatti un minimo un nome all’estero, dal mercato estero ce lo stanno chiedendo, quindi il compromesso che forse abbiamo trovato è che lo faremo uscire in dvd solo su quel mercato, però in italiano con sottotitoli in inglese, quindi chi vorrà…

Antonio: Cavie si è comunque fatto dei Festival, è andato a Courmayer ad esempio… un suo valore ce l’ha diciamo.

Marco: Forse perché non ci eravamo mai cimentati totalmente nell’horror l’abbiamo tenuto da parte volutamente, dopo Paura forse ora è il momento giusto di farlo uscire. Sto per dire una cosa strana ma se ci pensi ha un senso, è meglio farlo uscire vecchio, come un recupero appunto, un bonus. Farlo uscire all’epoca come qualcosa che sembrava il nostro nuovo film, quando invece era un esperimento, costato appena 4000 euro, sarebbe stato un azzardo.

Antonio: Sì, diciamo la verità, ci siamo un po’ spaventati perché a un certo punto poteva uscire Cavie come “il nuovo film dei Manetti Bros.” quando non lo era, o meglio sì, è un film nostro al 100%, ma è un film che ha una particolare storia alle spalle. Detto questo lo reputo un film molto divertente, molto coinvolgente e secondo me vedrà la luce prima o poi, riusciremo a farlo vedere a chi lo vorrà.

Marco: Ti dirò, poi magari alla fine uscirà pure in Italia, perché poi su queste cose si cambia idea mille volte!

Di altri fratelli celebri come i Coen si conosce il modo in cui affrontano le fasi della lavorazione di un film. Il vostro qual è? Compiti separati o lavorate in totale simbiosi?

Antonio: Negli anni abbiamo un po’ cambiato l’approccio. All’inizio facevamo tutto un caos generale sul set. Premesso che il cinema è un lavoro di gruppo e che il regista tra virgolette, perché poi ovviamente non è così, non fa quasi niente deve solo dire cosa devono fare gli altri… in due diventa un po’ un casino perché siamo io e Marco e magari discutiamo tra noi, è normale, dovremmo essere una mente sola ma pensiamo ad alta voce e la situazione diventa caotica. Stiamo sempre di più cercando la separazione come metodo, più film facciamo e più miglioriamo in tal senso. Marco sul set pensa di più alla direzione degli attori, mette in scena la storia con gli attori, li dirige e poi io capisco da dove inquadrarli, dove mettere la macchina, che inquadratura fare, e sono anche operatore.

Marco: Operatore-regista che non è l’operatore tradizionale ecco, non so se si capisce la differenza. Lui sta dicendo che fa il regista comunque. Nel senso che l’operatore normalmente non è che decide da solo cosa fare, glielo dice il regista. Lui se lo dice da solo tutto lì. Decide come girare la scena che è qualcosa di diverso.

Antonio: I nostri film dell’ultimo periodo, forse Paura fa eccezione perché è pensato in uno stile un po’ diverso, sono girati con molta macchina a mano, un po’ sporca, mossa, ed è una cosa che è venuta spontaneamente perché in qualche modo viene dettata da quello che ti dicevamo poco fa. Essendo io operatore e regista decido sul momento cosa inquadrare, se sto inquadrando qualcosa e sento un altro attore che dice qualcosa che mi interessa e mi interessa vedere, mi giro e riprendo quello mentre l’operatore non ha questo potere. L’essere regista me lo permette ed è uno stile che ben si addice ai nostri film, come Wang, come Piano 17 dove il ritmo è dato anche dai dialoghi, dalle cose che succedono. E’ un approccio questo della divisione dei compiti che ha cambiato anche il nostro stile registico.

Potete dirci un vostro sogno professionale, un progetto che sviluppate da anni, una collaborazione che vi piacerebbe?

Marco: Al di là del progetto, da un punto di vista del piacere, ci piacerebbe molto girare dei film all’estero, storie che non siano ambientate in Italia e non abbiano a che fare con la nostra realtà. Un po’ perché alla fine saremo costretti, visto che lì ci chiamano e qui invece di solito dobbiamo andare a bussare noi, ma soprattutto perché ci piace girare cose nostre in altri paesi e altre realtà. Un sogno sarebbe quello di girare un horror di ragazzi italiani in vacanza studio in Inghilterra d’estate, cosa che quand’eravamo ragazzi abbiamo fatto entrambi e da allora ci è rimasto questo pallino. E’ un’idea che abbiamo… più che un sogno, i sogni li abbiamo tolti dalla nostra vita, nel senso che abbiamo deciso di fare, quando abbiamo voglia di fare una cosa la facciamo. Se ci sono mille lire la facciamo con mille lire, se ci sono cento milioni di euro la facciamo con cento milioni di euro, sogni da quel punto di vista non ne abbiamo più, non so se mi riesco a spiegare. E allora il sogno visto da quel punto di vista diventa quel film che mi piacerebbe scrivere e non riesco a scrivere… mi piacerebbe concretizzare quest’idea sulla vacanza estiva a Londra di questi ragazzi, ho delle mezze idee che sono dei flash ma non riesco a metterle insieme e allora in qualche modo è un sogno.

Siete spesso in giro, come oggi, a presentare i vostri lavori. Vi siete fatti un’idea su che tipo di pubblico vi segua?

Marco: Cioè, che vuoi dire? Secondo me noi non è che abbiamo un nostro pubblico, siamo noi che facciamo dei film che di solito sono per un determinato tipo di pubblico, nel senso che non abbiamo la presunzione di pensare di averne uno definito ed è giusto che sia così. Un attore può avere un suo pubblico preciso, un regista meno, dovrebbe avere un pubblico che vuole vedere i film che fa. Noi semplicemente penso che per i film che facciamo ci rivolgiamo a un pubblico che ama il cinema di intrattenimento, il cinema per il cinema, non quello che racconta chissà quale situazione, ma quello forse un po’ fine a sé stesso ma che intrattenga, diverta, emozioni. Il nostro pubblico allora è quello del cinema di genere che è un termine che sembra sempre troppo serioso e che infatti non amo molto.

Antonio: Sai cos’è, che noi siamo molto parte del pubblico anche, nel senso che siamo dei veri appassionati di moltissime cose. Ci sentiamo molto simili. Alla Comic-con di Napoli ci sentivamo parte del pubblico, al Frightfest a Londra uguale. Allora il nostro pubblico dev’essere simile a noi, o almeno dovrebbe. Poi chiaramente non è prevedibile.

Marco: Però c’è anche da dire che il pubblico ha una responsabilità ben precisa che è quella di andare a vedere i film. Ne parliamo sempre con Zampaglione.( immagine da http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Interviste/Page/?Key=12116 ) L’industria fa i film che la gente vede. Se il pubblico vuole i film horror come dice, deve andare al cinema a strappare i biglietti e vederli, così facendo se ne produrranno altri. Invece non lo fa, almeno non con i film italiani. L’industria non è che ce l’ha con l’horror a priori, non gliene frega niente, segue i responsi del pubblico. Ha ragione Federico su questo. La commedia ad esempio a mio avviso ha un pubblico migliore dell’horror da noi. Sono persone migliori in Italia. Ci vanno. Strappano il biglietto, si comprano il dvd, se incontrano un attore si fanno fare l’autografo, questa è la natura del loro approccio. Non è dirgli “non mi è piaciuto il tuo film…” Il nostro pubblico dovrebbe essere come noi, ma abbiamo scoperto che qui quelli come noi sono degli stronzi e quindi comincio a puntare ad altro, non so come dire. La cosa brutta è che sono stronzi perché hanno paura di essere pubblico, è una cosa tipica in Italia, così come sono tutti ct della nazionale, sono tutti registi, tutti produttori. Se faccio vedere un film a duecento ragazzini appassionati di horror, sono duecento registi, non sono duecento spettatori purtroppo.

Antonio: Dipende poi dal tipo di prodotto e di pubblico, chiaramente non sono tutti così. Il pubblico di Coliandro per esempio è diverso. Quello è come noi, Coliandro è molto popolare, piace a più persone e queste sono comunque entusiaste, non fa niente se un episodio ha delle parti lente magari o un attore non è bravo, sono pubblico di Coliandro e voglio vederlo comunque.

Marco: L’appassionato di horror dovrebbe comunque divertirsi a vederne più possibile, non fa niente se questo è meglio o peggio di quell’altro, non so come dire…

Antonio: La pagina Facebook di Coliandro crebbe a dismisura in maniera spontanea, con le persone che commentavano in diretta gli episodi, fu una grande emozione…

Marco: Sì ma il discorso è più semplice, non c’entra questa cosa di Coliandro, non è che non sono d’accordo, sono d’accordo, il problema è che quelli come noi qui sono, o si divertono a farlo, degli stronzi, perché si lamentano senza dare il giusto supporto. Viceversa un fan tipico del Frightfest per esempio il diritto di critica e di opinione se lo guadagna sul campo nel caso, perché è uno che a prescindere vede e supporta un certo cinema, non che a prescindere lo critica e poi forse più in là se gli va se lo vede…

Zora la Vampira fu un insuccesso, oggi per molti è un piccolo cult, pur con i suoi difetti. Per voi resta sempre un’occasione persa? Se lo doveste rigirare cosa cambiereste e cosa no?

Marco: Noi siamo stati critici su Zora dopo due giorni dall’uscita credo, non ti dico niente di nuovo. Pensiamo sia un’occasione persa nel senso che siamo tuttora convintissimi della grandezza della sceneggiatura, è difficile spiegarlo a chi ha visto il film, l’idea è che forse era un film troppo ambizioso, che mischiava troppe cose insieme per farlo come primo grande film. Quindi a volte abbiamo la sensazione che oggi quella sceneggiatura la gireremmo meglio. Abbiamo fatto delle scelte sbagliate alcune di cast, altre di montaggio, poi c’entra pure – ma lì non è solo colpa nostra – il fatto che era un film che durava quasi tre ore e poi tagliammo a un’ora e mezza, quindi è un film a cui manca metà quando lo vedi. E’ un film che amiamo e odiamo, io non ce la faccio più a vederlo perché mi fa male vederlo pensando alle cose che avrei potuto fare meglio. Però lo amo anche se non penso che avremo mai l’opportunità di rifarlo, nonostante mi piacerebbe. Però ti dico anche che quando lo vedo secondo me è anche un film che non ha un’età, e soprattutto ha tre o quattro scene che sono tra le cose più belle che abbiamo fatto. Probabilmente mancava la maturità di seguire le varie cose, era così pieno che era un po’ un film urbano, un po’ un film horror, un po’ una commedia, un po’ un film sociale, era troppe cose insieme e ci voleva un po’ d’esperienza in più.

Piano 17, vero e proprio gioello della vostra produzione, vanta inoltre un’edizione dvd molto curata e ricca di extra. Possiamo aspettarci lo stesso per Wang e Paura? Potete anticiparci qualcosa?

Marco: Chiedi a lui! (ride)

Antonio: (scuotendo la testa) Ma no dai…

Marco: (ridendo) No, ora lo ammetti a registratore acceso! Io mi faccio ancora il culo a 45 anni perché vorrei questo, lui mi dice sei pazzo… Nel senso che ora per l’edizione inglese di Wang non c’era il backstage e alla fine l’ho voluto mettere, costringendo Michela che è una ragazza che lavora per noi a lavorare due giorni ininterrottamente perché volevo montare il backstage… Bisogna farsi il culo però sì, secondo me per tutte le nostre cose vi potete aspettare delle edizioni curate sotto questo profilo.

Antonio: Ma sì, come Piano 17 appunto ci saranno delle cose sicuramente interessanti, anche quelli di Coliandro ne avevano diverse…

Marco: E’ da poco che hai tirato i remi in barca su questa cosa…

Antonio: Ci abbiamo sempre lavorato su, ma ovviamente sono cose che fai se ne hai voglia o per passione non è che abbiamo nessun profitto…

Marco: Come tutti intendiamoci, nessuno prende soldi dagli extra dei dvd, pure Peter Jackson era lì che si riprendeva sempre da solo durante la lavorazione della trilogia, se non ti ci metti non li fai e nessuno li fa per te giustamente… Cercheremo di continuare a farlo. E lo dico anche da un punto di vista commerciale, di mercato, ora che i film si scaricano, il dvd dev’essere più ricco, dev’essere un’esperienza in più che trovi solo lì. Anche perché nel 90% dei casi il fan – di qualsiasi tipo – di fronte a un dvd horror il film l’ha già visto e già scaricato, quindi nel dvd gli devi dare qualcosa in più, una ragione ulteriore per comprarlo.

Quali saranno i vostri prossimi lavori? La commedia poliziesca scritta con Morelli sembra un ottimo punto di partenza…

( I Manetti Bros assieme a parte della redazione di Culturalismi. Foto di Fabio Migneco © tutti i diritti riservati )Marco: Sì, quella stiamo per girarla. E’ un’idea di Morelli e poi l’abbiamo scritta insieme a Michelangelo La Neve, un autore di fumetti… Ci apprestiamo a girarla a Napoli e siamo disperati perché è l’operazione più difficile che abbiamo mai fatto, di solito tendiamo a scriverci i film su misura per girarli a basso budget, questo non lo è, essendo una commedia poliziesca ha qualche soldino in più, rispetto agli horror… e poi abbiamo un sacco di altri progetti in realtà, stiamo scrivendo un film con degli sceneggiatori americani, non so quanto tempo richiederà… e poi abbiamo in testa milioni di cose. Non saprei… la cosa importante è che ci manteniamo in quel confine che ci piace tra horror e fantascienza, in effetti la commedia poliziesca la facciamo perché ci piace ed è qualcosa che ci viene bene, ma è un po’ fuori dal percorso che vorremmo seguire. Sono un paio di anni che siamo in altri mondi in realtà.

Antonio: Il film sulla creatura aliena che stiamo scrivendo con gli americani si riallaccia un po’ alla domanda sui sogni e alla risposta di Marco, più che un sogno, cerchiamo di concretizzarlo. In realtà quello che pensiamo di solito riusciamo a farlo, perché ormai abbiamo trovato un modo di fare film che ci appartiene, aiutati da un gruppo di persone che contribuiscono a dar vita a ciò che abbiamo in testa. Quello che più ci preme è questa storia di una creatura feroce e pericolosa, non dico di più, che scriviamo con gli americani ma è ambientata in Italia e che spero da qui a un anno di stare a girare sul set. Magari. Il sogno più vicino è questo.

Un’ultima curiosità: la commedia poliziesca sarà nel solco del buddy-movie americano o prenderete altre strade?

Marco: Guarda è un’idea più originale, non appartiene a un vero e proprio filone, però certo usciranno fuori i vari riferimenti, anche italiani. Però parla di un poliziotto che non è un vero poliziotto, è un impiegato in polizia che suona il piano. Alla polizia serve di infiltrare qualcuno in una band di neomelodici napoletani, perché andranno a suonare alla festa di un camorrista dove c’è un pericoloso latitante che devono arrestare, e quindi lui appassionato di musica classica si trova a fare il poliziotto, è più sul versante della commedia. Però poi diventa a tratti un buddy-movie perché c’è lui con il neomelodico, fanno amicizia, in qualche modo lo è…

 

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