Come ubriacare il lettore con un “Colpo gobbo”. Et voilà la destrezza di Franz Bartelt, Prehistorica Editore

di Francesco Bordi

Ci sono mosse non facili da prevedere.

Nello sport, nei giochi, così come nella vita, esistono degli affondi che sembrano diretti in una direzione per poi virare all’ultimo disorientando così l’avversario. Sono chiamati colpi storti o, più notoriamente, “colpi gobbi”.

“Colpo gobbo”, però, è anche e soprattutto il titolo di uno dei testi  più recenti degli abili ragazzi che presiedono il catalogo di Prehistorica Editore. Tuttavia, in questo caso, non sono loro, ma è l’autore stesso Franz Bartelt a portare ad effetto il colpo gobbo nei confronti del lettore. “Le Jardin du bossu” (Il giardino del gobbo), è infatti un testo che sembra condurre in più di una direzione per poi stravolgere tutto ciò su cui le nostre letture e congetture si erano basate.

Un testo difficile da collocare, ma in fondo è sempre così necessario inquadrare, etichettare o “taggare” ogni libro che la nostra editoria sforna? Direi proprio di no.

Dunque l’importante è solo godersi una prosa che affonda le proprie mani nei dialoghi ora torbidi ora ricercati dove convivono descrizioni orgogliosamente volgari relative a sesso, meschinità e menzogne  assieme a versi poetici di tipo allessandrino e ancora serie di citazioni delle massime aturità letterarie francesi quali Corneille, Victor Hugo e ancora Rimbaud, con cui Monsieur Bartelt condivide la regione geografica di nascita.

L’inganno parte subito: copertina ed incipit ci rimandano al mondo degli ubriaconi, dei disadattati, dei perdigiorno e, più in generale, all’ambiente degli indigenti che affrontano le loro problematiche attraverso la trasparenza dei calici e delle pinte di birra. Quella trasparenza vitrea invece si può declinare come la superficie liscia degli specchietti per le allodole. La scrittura del narratore infatti è tagliente, trasformista e ci porta in situazioni molto meno marcate. Non si tratta di storie di dipendenze dall’alcool, non ci troviamo di fronte ad un testo tragicomico sui beoni e non siamo nemmeno in uno splatter dove una rissa da bar finisce nello schifo, tantomeno in un polar, il giallo poliziesco tipico della Francia. Siamo invece repentinamete e costantemente trasportati, per non dire sbattuti, da un genere all’altro, in un grande limbo fatto di atmosfere meno marcate e meno definite che albergano in camere dove il tempo viene scandito da telelvendite di decadi passate e dalle riflessioni inquiete del protagonista che si relaziona nervosamente a quello che potremmo definire il suo “carceriere”.

Questa sorta di gregario ci era stato presentato sin dall’inizio come “l’idiota”, un ingenuo ed un imbranato che però tradisce dei modi molto fini ed eleganti. Il nostro attore principale invece ci sonocciola presto i suoi tormentoni esistenziali da tirar fuori in ogni occasione come ad esempio  “Io sono un uomo di sinistra”… “I ricchi invece sono così…”, “I ricchi fanno così”…

Proseguendo la vicenda tutto questo verrà messo in discussione, concretizzando così l’efficacia del colpo gobbo che lo scrittore sta usando nei nostri confronti.

Le dinamiche  e le dialettiche fra loro costituiscono non solo il fulcro della narrazione, ma per certi versi sono la narrazione stessa, completa di ogni equilibrio e disequilibrio che qualunque relazione umana può contemplare

Nella realtà dei fatti ci troviamo, dunque, di fronte ad un testo con poca ambientazione, una vicenda che può vantare pochi personaggi, con un ritmo non omogeneo e decisamente poco chiaro nella sua direzione.

Ma allora perché ci è piaciuto davvero tanto questo “Le Jardin du bossu”?

Perché proprio quella sua scarsa linearità ci tiene avvinti ad ogni curva di variazione narrativa.

Perché nessuno è davvero come si presenta, ma è molto di più. La loro profondità è dietro l’angolo o dietro una birra.

Perché l’intelligenza narrativa, la sagacia e l’humor nero di chi l’ha scritto crescono e si fanno notare con uno spessore quasi palpabile.

Perché il colpo di scena sul finale è davvero inaspettato o meglio, era prevedibile un coup de théâtre in un testo del genere, ma non ad un livello così strutturale.

Infine questo titolo è assolutamente apprezzabile perché riesce a fare emergere la realtà della piccola provincia francese solamente dai discorsi diretti dei protagonisti.

Al buon Franz Bartelt (Premio Goncourt e Gran Premio de l’Humour noir) non servono pagine e pagine di descrizioni. Non sono necessari richiami storici o resoconti di eventi folkloristiciBasteranno infatti quattro mosse gobbe dell’autore per avere la provincia francese, con il suo orgoglio e le sue frustrazioni,  nelle vostre tasche. Saranno più che sufficienti i dialoghi botta e risposta, un pub, una casa privata e soprattutto un giardino ma non uno qualunque, ma QUEL giardino: “Le Jardin du bussu”. Si tratta di un giardino dove lavora un robivecchi che ha la gobba, ma non è questo che rende il luogo imprescindibile nella vicenda.

Il colpo gobbo, infatti, non è una mossa importante solo per chi ne fa un uso diretto, ma nelle dinamiche sociali dei piccoli centri può essere ad esempio un colpo fondamentale anche per colui che pur trovandosi in una postazione in grado di consentire una visione più chiara delle cose da condividere opportunamente con tutta la comunità, come potrebbe essere un certo giardino, lui vede, comprende, ma sceglie di non dire…

Et voilà il colpo del Gobbo.

 

Buone bevute e buona lettura!

 

Franz Bartelt, “Colpo Gobbo”, Valeggio sul Mincio, Prehistorica Editore, 2024.

titolo originale: Le Jardin du bossu

Foto di Francesco Bordi ©

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