Se la storia non è un romanzo e nemmeno un racconto biografico, allora… è Pierre Jourde. Accomodatevi sul suo divano-letto e fate buon viaggio!

di Francesco Bordi

Jourde… Jourde… Caro Pierre Jourde…

Il divano fa notoriamente parte dell’arredamento casalingo nella stragrande maggioranza delle culture sul globo terracqueo. Che venga declinato come canapè, sofà, chaise longue, divano-letto o affini, l’oggetto in questione indicherà comunque una struttura atta al nostro riposo, alla tranquillità ed al rilassamento, soprattutto per noi lettori, giusto no?

Il viaggio invece, ci regala un’idea molto più dinamica: innanzitutto uno spostamento a cui, però, faranno seguito le aspettative sui luoghi evocati, così come le differenti abitudini o addirittura le diverse culture che andremo ad incontrare.

Ma tutto questo lo sappiamo sia noi che l’autore, giusto Monsieur Pierre?

Perfetto!

Se uniamo dunque questi due termini così distanti nell’espressione “Il viaggio del divano letto” otterremo in primo luogo il titolo dell’ultimo romanzo scritto da Pierre Jourde e pubblicato in Italia dai vulcanici ragazzacci di Prehistorica Editore, in secondo luogo avremo a disposizione, quanto meno in apparenza, l’intera trama di un nuovo scorcio di vita sapientemente romanzato da questo professore di letteratura francese alla Grenoble III con il vizio della scrittura creativa nonché della critica letteraria.

Abbiamo dunque un oggetto casalingo di norma dedicato alle riflessioni intime e personali che viene preso, caricato su un furgoncino e portato cosi all’attenzione dell’esterno, spogliandosi improvvisamente di tutta la sua sfera privata.

Lo spregiudicato autore, leggendo il testo ne capirete il perché, dice di volerci raccontare il viaggio del “canapè”, della sua defunta nonna, da Crèteil, sud-est di Parigi, fino a Lussaud, nella regione dell’Alvernia, massiccio centrale francese: le terre dei suoi ricordi d’infanzia dove è situata la casa di famiglia. Parliamo di circa 450 chilometri, percorsi con un Citroën Jumper, che vedono come protagonisti lo scrittore stesso, il fratello Bernard assieme alla moglie Martine. Capirete sin da ora, evidenziando la presenza dell’autore stesso all’interno della vicenda, che la dicitura “romanzo” risulta piuttosto stretta per questo libro con la copertina dell’iconico pulmino anni settanta: un recente passato che non si può dimenticare. Dico bene Professor Jourde?

A questo punto, allora, diciamola tutta.

Le voyage du canapé-lit è strutturato, anche qui solo in apparenza, su uno schema in cui probabilmente ci siamo già imbattuti tanto in letteratura, quanto nell’ambito della settima arte. Un viaggio che ripercorre le strade del passato dai continui spunti per flashback relativi ad infanzia, prima adolescenza e non solo. Spesso in questa duttile impalcatura narrativa, la fine dello spostamento descritto coincide con la risoluzione di conflitti irrisolti o di rapporti ostili fra i protagonisti; nei libri così come nelle pellicole cinematografiche.

La doppia natura romantica e “di formazione” del testo in quest’ambito è netta, quasi palpabile. Aneddoti, sequenze comiche alternate a descrizioni malinconiche e ancora verità nascoste e confessioni cercate: sono tutti ingredienti che, a buon diritto, avrebbero potuto prendere posto su quel divano-letto ben legato al tetto del jumper…

Ma Pierre Jourde, professore accademico, critico, anticonformista letterario e soprattutto recensore non poteva concepire il suo lavoro solamente dal punto di vista d’appartenenza ad un genere narrativo.

Il viaggio del divano di famiglia diviene così una scusa per mescolare, ancora una volta, la vita privata con la letteratura. Chi conosce l’autore, così come chi lo approccerà per la prima volta in questo titolo, saprà che la sua ispirazione risiede in quello sviluppato ego letterario (che lui stesso si riconosce), spalmato sui ricordi di famiglia e sulle riflessioni circa cultura e società.

Quello che andiamo sfogliando non è solo il trasporto del divano attraverso decine e decine di cangianti panorami d’Oltralpe, dal nord semi-parigino al centro, ora montuoso ora campagnolo attraverso piccoli borghi più o meno noti della Francia. Non è nemmeno un classico racconto autobiografico sapientemente condito.

Si tratta anche e soprattutto della “campa-cola”, la bibita indiana che ha causato imbarazzanti e dolorosi episodi di diarrea all’autore lungo i suoi rievocati spostamenti dall’India al Tibet,

di altri viaggi, come quello vissuto assieme a Bernard Jourde, al limite della legalità, sulle strade del Messico,

dei rapporti devastanti nonna – mamma, e degli alterchi tragicomici fratello – fratello che serpeggiano fra le pagine dall’inizio alla fine.

Ancora possiamo scoprire una goffaggine, quasi istintivamente premeditata, di Monsieur Pierre nelle sue conflittuali relazioni con L’Académie Française.

Apprendiamo quindi della sua inaspettata esperienza d’annata al limite dell’omosessualità a Londra.

Analizziamo il suo diffidente rapporto sin da giovanissimocon tutti gli oggetti che avrebbero, a suo dire, un’anima da cui bisogna stare opportunamente in guardia.

Ci impressioniamo di fronte al suo mal di mare comicamente devastante presso l’arcipelago di Glénan in Bretagna.

Infine sorridiamo bonariamente delle ipocondrie che, come spesso accade, avvelenano i nostri pensieri più profondi benché siano abbondantemente prevedibili ed evitabili, soprattutto per chi mostra loro il fianco o l’intimo…

Tutto questo emerge nei racconti dei tre compagni di viaggio a bordo di un furgoncino Citroën sulla A 77 durante un weekend di Pasqua!

Le voyage du canapé-lit quindi può essere serenamente inteso come la visione del mondo che l’autore racconta attraverso i rapporti con la sua famiglia e gli aneddoti che quel viaggio (di famiglia) ispira.

In un’unica espressione è il VI(LL)AGGIO di Pierre.

 

Il modo con cui Jourde riesce ad amalgamare il tutto è determinato proprio dalla sua arte narrativa. L’autore si serve del dialogo assolutamente informale con i compagni di viaggio e con noi lettori per narrare “distrattamente” buffi aneddoti, concezioni, giudizi e riflessioni. Se all’inizio è didascalico nel presentarci il suo itinerario e la sua équipe nel Jumper, pagina dopo pagina la sua confidenza cresce mutando così anche le sue espressioni ed il coinvolgimento nei nostri confronti. Pierre cita serenamente persino i suoi titoli: quelli dei libri che ha già scritto e di quelli che scriverà. Nomina colleghi, premiazioni letterarie, presentazioni editoriali e circostanze ufficiali senza che uno qualunque di questi elementi possa risultare lontanamente pesante o ridondante.

Lo schema, dunque, non è solamente quello dei flashback nella valigia da viaggio e non ci troviamo nemmeno di fronte ad uno zibaldone contemporaneo che accompagna il lettore in cronache e riflessioni. Pierre Jourde stesso è la narrazione.

Titolo dopo titolo ci racconta la sua famigliare concezione del mondo. Si potrebbe dire che, di fatto, ha già espresso questa intima tendenza con “Paese Perduto”, con “La Prima Pietra” e, in un certo senso, anche con “Il Tibet in tre semplici passi”. Allo stesso modo diremo che, probabilmente, avverrà il medesimo sviluppo narrativo nei prossimi lavori, essendo a tutti gli effetti una sua cifra stilistica.

Il linguaggio scelto per questa narrazione così intima è particolarmente variegato. Dialoghi scorrevoli e giochi di parole, ma anche termini davvero ricercati e raffinate costruzioni (che probabilmente avranno impegnato non poco la traduttrice dell’opera) costituiscono la “semplice complessità” della scrittura di Jourde.

Tuttavia, in questo alternarsi d’espressioni, colpisce come la confidenza con il lettore,  in crescita capitolo dopo capitolo, faccia sì che ci si dimentichi di gustare una vicenda “romanzata”. Di conseguenza abbiamo realmente l’impressione che, in questo viaggio, tutto sia accaduto nei modi e nei tempi raccontati dallo scrittore francese. Nella realtà, però, non tutti i discorsi hanno avuto luogo all’interno di quel pulmino in viaggio verso l’Avernia, così come la cronologia degli eventi descritti ha effettivamente subito delle modifiche.

È l’autore stesso a farcene parte nelle premesse del “Viaggio del divano letto”, tuttavia, cari miei colleghi di lettura, di questo avviso vi dimenticherete pressoché immediatamente al cospetto di un racconto ricco di descrizioni coinvolgenti, episodi divertenti e molta (auto)ironia.

Ma d’altronde…

anche questo…

era voluto, studiato e finemente calcolato…

così come le numerose digressioni “distrattamente” richiamate alla mente dal tragitto e quel finale “irriverente” per il protagonista formale della vicenda: le canapè.

 

N’est-ce pas, Monsieur Jourde ?

Buon viaggio!

 

Pierre Jourde, “Il viaggio del divano letto”, Valeggio sul Mincio, Prehistorica Editore, 2024

Titolo originale: Le voyage du canapé-lit

Foto di Francesco Bordi ©

 

 

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Come ubriacare il lettore con un “Colpo Gobbo”. Et Voilà la destrezza di Franz Bartelt, Prehistoria Editore

 

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