Il fuoco non può bruciare le radici dell’impegno

di Simona Secci

 

(immagine da https://www.facebook.com)Gli aranci stavano nuovamente dando i frutti. Questa rinascita dopo anni di soffocante incuria prendeva linfa dal sudore dei ragazzi della Cooperativa sociale “Beppe Montana – Libera Terra”. Il risveglio prima dell’alba, ore, giorni e mesi di fatica in campagna, la cura quotidiana, intrisa di profonda passione, stavano riportando alla luce e donando una bellezza mai conosciuta ai terreni della piana catanese di Belpasso: la bellezza dei sapori e del profumo dell’impegno collettivo laddove prima esisteva solamente il dominio mafioso del clan Riela.

Oggi l’arancio intenso di molti di quei frutti non c’è più, annerito insieme al verde intenso delle piante dalle fiamme dell’arroganza mafiosa, appiccate all’inizio di giugno. Le terre bruciano non solo a Belpasso. Altri incendi, negli stessi giorni, hanno devastato i terreni delle Cooperative che partecipano al progetto Libera Terra: un oliveto a Castelvetrano nel trapanese, il grano di Mesagne, in Puglia. E poi le intimidazioni nei confronti del Villaggio della Legalità di Borgo Sabatino a Latina e nella piana di Gioia Tauro in Calabria.

Una mafia che vilmente pensa di poter riportare tutto nell’oscurità, riducendo in cenere tutto ciò che non può più sottoporre alla sua signoria, che violenta vigliaccamente la natura con l’intento di intimidire, di far ritornare la rassegnazione, di spegnere ogni moto di ribellione e cambiamento, che sottragga loro consenso sul piano culturale e sociale.

Il dolore, la rabbia e lo sconforto dei primi istanti, sgorgati dai volti dei ragazzi della Cooperativa (e anche da chi ha avuto la gioia di conoscerli come volontario, insieme a molti altri che, ogni estate, seppur per pochi giorni, condividono con loro l’impegno concreto per il riutilizzo sociale dei beni confiscati, attraverso il lavoro e momenti di formazione sulle mafie e sulla legalità), sono già divenuti consapevolezza che non si può cedere, che ora più che mai non ci può fermare, che bisogna continuare il percorso intrapreso. In questi anni, con il lavoro onesto riconosciuto finalmente come diritto e non più sottoposto all’arbitrio dei boss, si è dimostrato che ogni territorio può creare finalmente un’economia pulita imperniata sulla responsabilità sociale, una comunità solidale impegnata in un percorso culturale alternativo alle mafie nel quale le persone e i loro diritti divengono il seme da cui scaturisce il fusto sano di un paese libero dai condizionamenti mafiosi, dove nascono e crescono i frutti del riscatto.

A questa lotta ognuno di noi ha il dovere di partecipare. Una partecipazione che non sia recintata nella mera “solidarietà del giorno dopo”, ma che prenda la forma di un costante impegno, coltivato collettivamente con il sapere, la cultura, la coerenza di scegliere senza indugi da quale parte stare e di dimostrarlo ogni giorno con azioni concrete, di non tacere le trame dei poteri mafiosi, di vedere e denunciare i loro delitti e le collusioni. Una partecipazione che impone, inoltre, di essere fermi anche nel chiedere alle istituzioni di dimostrare lo stesso impegno, di non limitarsi ad emanare provvedimenti di natura “emergenziale”, solo quando la violenza mafiosa si manifesta, in una prospettiva repressiva di facciata, che ha non ha mai sciolto il nodo centrale del potere mafioso ovvero il doppio filo che lega insieme ceti criminali e classe dirigente. Sciogliere questo nodo si può, se – muovendo dal cammino tracciato dalla legge Rognoni-La Torre, che nel 1982 permise finalmente di confiscare i beni illecitamente accumulati delle mafie, proseguito con la legge n. 109 del 1996, di iniziativa popolare, sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, promossa da Libera – si danno segnali credibili, intervenendo sulle gravi criticità presenti nel sistema normativo, molte delle quali sono state anche aggravate dal recente testo, approvato nel 2011, del c.d. “Codice antimafia”: in particolare, le molteplici difficoltà per giungere alla confisca definitiva dei beni, dati i termini troppo brevi imposti per la conclusione dei procedimenti; anche quando si perviene alla confisca, spesso i beni sono gravati da ipoteche, che le banche non vogliono estinguere, e quindi diviene difficile procedere all’assegnazione, in un sistema che paradossalmente concede liquidità ai mafiosi, mentre frena la possibilità di procedere al riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie, con il conseguente problema dell’inaccettabile degrado dei patrimoni; non è stata attuata la norma che prevedeva l’estensione della confisca dei beni ai patrimoni dei corrotti; non si è previsto un intervento efficace sulla mafia finanziaria, sui reati dei colletti bianchi, ad esempio la mancata introduzione del reato di autoriciclaggio e pesa l’assenza di una innovazione del reato di voto di scambio elettorale politico-mafioso, ancor oggi punibile solo se vi è stata erogazione di danaro, quando spesso lo scambio si realizza anche attraverso altre utilità. 

Peraltro, come scriveva il giudice Giovanni Falcone: « Le leggi non servono se non sono sorrette da una forte e precisa volontà politica ». Si chiede allora alle istituzioni di operare scelte precise che recidano quei legami politico-mafiosi che da troppo tempo soffocano il paese, e soprattutto di mettere a disposizione tutte le risorse umane e gli strumenti economici appropriati, per sostenere questi ragazzi della Cooperativa che hanno ripreso a lavorare sui terreni e tutti coloro che continuano a lottare contro le mafie, i quali stanno dimostrando che il fuoco non può bruciare le radici dell’impegno.

 

 

Potete sostenere la Cooperativa Beppe Montana nell’opera di sostituzione degli oltre 2000 aranci e del centinaio di ulivi distrutti nell’incendio. Trovate tutte le info ai seguenti link:

www.coopbeppemontana.org/COMEAIUTARCI/tabid/74/language/it-IT/Default.aspx

www.coopbeppemontana.org/CAMPIDIVOLONTARIATO/tabid/68/language/it-IT/Default.aspx

 

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