Pennellate astute ed atroci per descrivere debolezze e fragilità. Passano gli anni, ma la Notte di Fitzgerald è sempre più Tenera

di Francesco Bordi 

Se è vero che la Notte è tenera

(anche se per gentile concessione di Keats e del suo verso nell’ “Ode all’usignolo”),

 

si potrebbe notare nella medesima maniera che «alcune donne si muovevano con la stessa cautela e precisione con cui si muove una mano per raccoglierele schegge di un vetro rotto».  

Ancora, con lo stesso sguardo indagatore, si potrebbe scrorgere «un sentiero segnato da una nebbia intangibile di fiori».

Che dire poi di quella rovinosa reazione dovuta al fatto che «si sentiva offeso dalla sua fredda insolenza da ricca. Ci sarebbero voluti centinaia di anni prima che un’amazzone principiante capisse il fatto che un uomo è vulnerabile soltanto nel suo orgoglio ed è delicato come un bambino quando si tratta di esso; anche se qualcuna di loro pagava questo fatto con cauta adulazione».

Il vero dato di fatto è che Francis Scott Fitzgerald padroneggia le parole come pochi autori di ieri e di oggi. Le figure retoriche di cui si serve sono varie e tutte profondamente efficaci. In particolare il frequente uso dell’ossimimoro, accostando termini opposti o in forte contrasto fra loro in un’unica espressione, risulta sempre degno di nota, tanto che il lettore non solo ne aprezza l’utilizzo quando vi si imbatte, ma tende anche ad indugiare su quella riga. L’instinto infatti è cercare di memorizzare quell’incisività che tanto ci sorprende di volta in volta. Il destino è lo stesso per quanto concerne similitudini e metafore: stati d’animo spiegati tramite oggetti o elementi naturali descritti con accezioni semanticamente infinite.

In tutta questa corte di espressività è l’aggettivo a ricoprire il ruolo principe. La connotazione, a volte rapidissma, che l’autore riesce a regalare a situazioni e stati d’animo con un semplicissimo attributo è ciò che davvero fa la differenza nella sua scrittura.

Tender is the Night, così come The great Gatsby, sono emblematici in tal senso.

La notte, in quello che è stato l’ultimo e soffertissimo romazo dello scrittore statunitense, ha la valenza di un momneto che dovrebbe portare ristoro ma che spesso allunga una mestizia cominciata nel tardo pomeriggio assieme ad un alto numero di alcoolici.

Gli “anni ruggenti”, “gli anni ’20”, “l’età del jazz”, sono alcune diciture di uno stesso periodo che (quasi) tutti i critici riconducono al cantastorie del Minnesota sottolineandone l’abilità nel descriverli.

In realtà, l’osservazione più corretta è che Francis Scott Fitzgerald È quel periodo.

Sue sono le frustrazioni del protagonista della vicenda, Dick Diver. Le tragiche e complesse patologie mentali della moglie del personaggio principale, Nicole, sono proprio quelle stesse tragiche problematiche cha hanno afflitto Zelda Fitzgerald. Ancora, il malato rapporto con i soldi della società dell’epoca, le apparenze, l’assalto alla Costa Azzurra, le prime costossissime produzioni cinematografiche di Hollywood, il ricorso all’alcool e i locali di spaccio clandestino, gli speackeasy, sono tutte situazioni che l’autore ha vissuto sulla propria pelle tanto a livello personale che a livello sociale. Forse solo O’Hara si è avvicnato alla sua maestria nell’affrontare la visione del mondo di quel periodo, anche se la sua trilogia “Prediche e acqua minerale” sembra molto più violenta ed aggressiva e leggermente meno elegante.

Essendo un animo manifestamente sensibile, come scrittura rivela, il papà di alcuni dei capisaldi letterari di sempre non riusciva a vivere bene i cambiamenti dell’epoca e probabilmente si poneva delle domande. A tal proposito ci facciamo anche noi delle domande: le accuse d’aver utilizzato espressioni razziste o il riscontro ad un certo maschilismo che si può certo ravvisare, non sono prive di fondamento. Io stesso rimango sempre colpito nell’imbattermi in descrizioni di quel tipo. Va detto anche che quei tempi non erano aasolutamente maturi per delle sacrosante e doverose attenzioni nonché incontestabili, non lo sono nemmeno i tempi odierni per molti versi. Ecco dunque il quesito che mi balena ogni qual volta leggo i romanzi del ruggente “pittore” dei ruggenti ’20. Con una mente così acuta ed un animo a suo modo estremamente sensibile, legatosi inoltre ad una donna dalla mente complicata e di certo non sempre benvista dal suo entourage, perché si serviva di aggettivi e descrizioni in grado di offendere profondamente parte della società?

Fitzgerald parla di alcool e dei suoi nefasti effetti. Descrive i tradimneti dell’animo e del corpo. Mostra come la società ricca e bella, i soldi e gli accessori connessi possano determinare una scarsa lucidità personale che può condurre alla follia. Nel suo romanzo non sembra andar fiero di questi elementi: li descrive senza analizzarli pesantemente. Si tratta di uno stile che si pone a metà fra la finestra del mondo e la denuncia. Descrizioni che hanno addirittura una maggiore forza dirompente dei dialoghi ci regalano la sua visione dell’epoca mettendone in risalto le caratteristiche a prescindere dalla loro valenza positiva o negativa.

Mi chiedo pertanto se anche le epressioni offensive presenti nel testo siano delle domande mascherate che l’autore ci chiede e si chiede. Ho effettuato una rapida riecerca sull’argomento e ho scoperto che non sono l’unico ad essersi posto interrogativi di questo tipo.

Probabilmente il dubbio rimarrà, tuttavia una cosa certa è che dagli anni ’20, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, TENERA È LA NOTTE e continuerà ad esserlo.

 

Francis Scott Fitzgerald, “Tenera è la notte”, 1990, Torino, Giulio Einaudi Editore.

Titolo originale: Tender is the Night

Foto di Francesco Bordi ©

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